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DIALOGO CON GLI INTERNAUTI

UNA PAGINA DI GABRIELE MANDEL SU AL-KHIDR

 

29/3/2004

Un internauta mi chiede informazioni su al-Khidr.

30/3/2004

D. Ch. - Le informazioni su al-Khidr sono sparse qua e là. La base coranica è nella sura XVIII (la sura della Caverna), soprattutto vs. 65. Vediamo il passo nella traduzione di Alessandro Bausani (Il Corano, Sansoni, Firenze, 1961).

60 E quando Mosè disse al suo servo: "Non cesserò d'andare finché non sia giunto al Confluir dei Due Mari; altrimenti passerò lunghi anni in cammino ". - 61 E quando giunsero al Confluir dei Due Mari, dimenticarono il Pesce che avevan portato con sé, e questo prese la sua via, libero, nel mare. - 62 E quando furon passati oltre, Mosè disse al suo servo: "Porta il nostro cibo mattutino, ché troppo ci ha stancati questo viaggio!" - 63 Rispose il servo: "Sai che cosa è avvenuto? Allorché ci rifugiammo alla Roccia, io dimenticai il Pesce; e Satana solo mi fece dimenticar di parlartene, ed il Pesce prese la sua via, maravigliosamente, nel mare". - 64 “Questo è quel che volevamo!” rispose Mosè, e tornarono indietro, seguendo i lor passi. - 65 E s'imbatterono in uno dei Nostri servi, cui avevam dato misericordia da parte Nostra, e gli avevamo insegnato della Nostra scienza segreta. - 66 E gli disse Mosè: "Posso seguirti, a patto che tu mi insegni, a rettamente guidarmi, di quel che a te fu insegnato?" - 67 Rispose: "Sì, ma tu non saprai, con me, pazientare; - 68 e come del resto potresti esser paziente in cose che tu non comprendi?" - 69 Ma Mosè ribatté: "Mi troverai, se a Dio piace, paziente, ed io non ti disobbedirò in nulla". - 70 Disse l'altro: "Se tu dunque vuoi seguirmi, non domandarmi nulla di cosa alcuna, finché non sia io a fartene menzione". - 71 E così partirono, finché, quando salirono sulla Nave, quegli la forò. " L'hai tu forata, gli chiese Mosè, per far annegare tutti quei che vi stan sopra? Hai certo commesso una cosa enorme!" - 72 "Non ti dicevo, rispose, che tu non avresti potuto, con me, pazientare?" - 13 "Non mi riprendere, ribatté Mosè, perché me n'ero dimenticato. Non m'imporre dunque punizione gravosa". - 74 E andarono ancora finché s'imbatterono in un giovanetto,che quegli uccise. "Hai ucciso un'anima pura senza alcuna necessità di vendicare un'altra anima? Hai commesso cosa inaudita!" - 75 Rispose: "Non ti dicevo che tu non avresti potuto, con me, pazientare?" - 76 E Mosè rispose: “Se d'ora in poi ti chiederò una sola cosa, non accompagnarti più a me, avrai scusa sufficiente per abbandonarmi". - 77 E andarono ancora, finché, giunti a una città, chiesero del cibo a quegli abitanti, ma essi rifiutaron d'ospitarli. E trovarono in quella città un muro che stava per crollare e quegli lo raddrizzò. Allora Mosè gli disse: "Se avessi voluto avresti potuto farti pagare per questo!" - 78 “Qui ci separeremo, rispose l'altro, ma prima ti darò la spiegazione di queste cose sulle quali non hai potuto pazientare. - 79 Quanto alla nave, essa apparteneva a povera gente che lavorava sul mare, ed io volli guastarla, perché li inseguiva un re corsaro che prendeva tutte le navi a forza. - 80 Quanto al giovanetto, i suoi genitori eran credenti, e tememmo che egli li forzasse ad empietà e miscredenza - 81 e volemmo che il loro Signore desse loro in cambio un figlio più puro e più affezionato. - 82 Quanto al muro, esso apparteneva a due giovanetti orfani di quella città e sotto c'era un tesoro che loro apparteneva e il loro padre era un uomo pio; e il tuo Signore volle che essi pervenissero all'età adulta e poi essi stessi scavassero fuori il tesoro, come segno di misericordia da parte del Signore. E ciò che feci non lo feci io. Ecco la spiegazione di quello su cui non hai potuto esser paziente”.

Alessandro Bausani ha compilato una interessante nota in proposito:

60 segg. - Comincia qui ex abrupto un curioso racconto, a costruir l'antica tela del quale contribuiscono la leggenda di Gilgamesh, il Romanzo d'Alessandro (Magno) diffusissimo in Oriente in innumerevoli versioni orali e scritte, un racconto rabbinico sulle prove imposte da Elia a rabbi Joshua ben Levi. È qui (v. 65) che compare il popolarissimo quanto misterioso personaggio di Khadir o Khidr, comunque mai nominato nel Corano con questo nome, che tanta parte avrà nelle leggende, nella letteratura e nelle speculazioni mistiche dei popoli musulmani. Questo personaggio (per maggiori notizie sul quale si veda l'art. Khadir in Encyclop. de l'Islam; cfr. anche CH. VIROLLEAUD, Khadir et Tervagant, in "Journal Asiatique", CCXLI (1953), 2, pp. 161-166), è da qualcuno avvicinato ad Elia, del quale possiede però solo alcuni tratti. Dato il nome (che significa "il Verde") è più probabile si tratti di un antichissimo dio della vegetazione e della primavera a formare la cui più tarda personalità hanno contribuito le numerose leggende vaganti in Oriente come quelle sopra citate. Di lui alcune leggende citate dai commentatori dicono che dovunque egli stia verdeggia la terra, o che fa diventar verde qualsiasi cosa che tocchi. È più che Profeta (è infatti guida di un Profeta, Mosè) è immortale, come Elia, Gesù e Idrîs (v. III, 55; IV, 157; XIX, 56-57). Leggende popolari di vari paesi islamici (specialm. in India) vi hanno poi ulteriormente intessuto motivi locali.

Alcuni commentatori, forse per evitare di far guidare un Profeta da un personaggio a Lui superiore, vedono in Mosè una persona diversa dal Mosè profeta, un Manasse discendente di Giacobbe. Il "Pesce" (salato, quindi morto) serve ad indicare la via: infatti rivive perché immerso nella Fonte dell'Acqua di Vita, presso il qual luogo abita Khadir. La "Roccia" è quella da cui scaturisce l'Acqua di Vita. Il "Confluir dei due Mari" è ora inteso come l'Istmo di Suez ora come Stretto di Gibilterra, ora (allegoricamente!) come l'incontro dei due mari di saggezza Mosè e Khadir. La prova di pazienza si trova solo nella leggenda rabbinica di Elia. Senza queste (d'altronde piuttosto incerte) precisazioni tolte ai commentatori, ben difficile sarebbe intendere il racconto, fatto tutto d'allusioni lampeggianti che, se forse contribuiscono ad aumentarne la misteriosa suggestività, ne annientano totalmente la chiarezza.

Parecchi riferimenti si trovano (cfr. l'indice analitico) in Vite e detti di santi musulmani a cura di Virginia Vacca, UTET, e un racconto su di lui si trova anche nei Racconti arabi antichi anch'essi curati da Virginia Vacca e riediti a cura mia per Il leone verde.

Accenni si trovano quasi in ogni testo sul sufismo, come sicuramente ci sono accenni in Guénon, in Idries Shah, e in molti altri autori e luoghi. Il discorso potrebbe farsi lunghissimo e complesso, con paralleli con le tradizioni ermetiche, e con figure simili in altre tradizioni (per es. San Giorgio).

C'è comunque in italiano una interessante pagina di Gabriele Mandel che costituisce una buona sintesi di com'è visto al-Khidr nel sufismo e dice cose interessanti su Ibn `Arabî. Si trova in un libro che non mi pare più in circolazione, e la riproduco pertanto qui sotto, sperando che l'autore non si secchi.

Mantengo le convenzioni di trascrizione dell'autore.


Da:

Gabriele Mandel, Il sufismo vertice della piramide esoterica, SugarCo, Milano, 1977, pp. 57-61.

A Murcia, cittadina della Spagna di sud-est, nacque il 28 luglio 1165 Ibn al 'arabî. Il suo nome completo era Mohammad ben 'alî ben Mohammad ibn al 'arabî alHâtimi atTa'î, o anche Abû Bakr Mohammed ibn 'alî Muhyi adDîn ibn al 'arabî. I suoi genitori erano molto religiosi, e tre suoi zii erano sufi.

A otto anni si trasferì a Siviglia, ove seguì gli studi classici, al termine dei quali divenne segretario del governatore.

Sposò Maryam, figlia di un signorotto potente. In seguito ad una grave malattia e ad una visione che - dirà più tardi - venne a determinare la sua guarigione, sì volse allo studio del misticismo sufico. Alla ricerca di un maestro visitò tutti gli illuminati della Spagna, una cinquantina, e scrisse un libro su di loro. A vent'anni (1184) fu iniziato al sufismo.

Conobbe e frequentò uno dei maggiori maestri sufi. del tempo, Ibn Rushd (Averroè) ma non ne apprezzò l'aristotelismo materialistico, opponendogli la conoscenza per via intuitiva e la fede nei poteri soprannaturali dell'uomo. Si dice che un giorno apparve, grazie a uno sdoppiamento o ad un invio di pensiero, ad Averroè, pur essendo lontano da questi parecchi chilometri.

Tutta la narrazione della sua vita è fiorita di esperienze simili: visioni premonitrici, stati di trance e di estasi, profonde introspezioni contemplative, comunicazioni medianiche. Con serietà egli studiò tutti i fenomeni paranormali, e quanto oggi viene chiamato parapsicologia o spiritismo. Come era costume di alcuni sufi, si recava spesso nei cimiteri, ove si dice che in stato di semi-trance comunicasse con i morti sepolti nel luogo. Alcuni sufi, tra i quali il maestro alKumî, ne furono testimoni e ne lasciarono memoria in scritti vari. A seconda delle teorie, potrebbe essere questa una intercomunicazione con il proprio profondo, con l'inconscio collettivo, con entità superiori; comunque sia i sufi traevano nozioni e messaggi di qualità elevata.

A trent'anni, mentre si trovava in viaggio, Ibn 'arabî ebbe un incontro-visione che non si sa se collocare sul piano fisico, su quello mistico o su quello simbolico. Egli stesso l'ha raccontato così: « Ero a bordo di una nave nel porto di Tunisi. Non stavo bene; i passeggeri dormivano. Stavo per appoggiarmi al parapetto e contemplare il mare. Vidi d'improvviso, alla luce della luna piena, qualcuno venire verso di me sulla superficie dell'acqua. Salì e mi si fermò accanto. Si tenne dapprima su una gamba e alzò l'altra per darmi modo di vedere che non era bagnata. Fece lo stesso con l'altra gamba. Mi parlò per un attimo, poi mi salutò e s'allontanò [ ... ] Quando tornai nella città uno sconosciuto mi venne incontro e mi chiese come avevo passato la notte con alKhidr sulla nave, e che cosa ci eravamo detti».

L'incontro misterioso con alKhidr era destinato a ripetersi, durante un pellegrinaggio al santuario di Rota, nel Nordafrica. In questa circostanza Ibn 'arabî discusse con lui della propria scienza, e dei validi argomenti teorici con i quali, in molti libri, aveva dimostrato la realtà di grandi intuizioni mistiche. Giunti ad una moschea, vi entrarono assieme ad altri asceti. Fra questi c'era lo sconosciuto che a Tunisi era andato incontro ad Ibn 'arabî chiedendogli del suo primo incontro con alKhidr. Questo sconosciuto, con grande meraviglia dei presenti, prese un tappetino, lo distese a mezz'aria - ov'esso miracolosamente rimase - e su quello recitò le sue preghiere. Poi se ne andò.

AlKhidr spiegò allora ad Ibn 'arabî che quel fatto, più di tutte le sue argomentazioni teoriche, era servito a risvegliare la fede in un ateo presente alla preghiera. Poi scomparve.

A questo punto sorgono vari interrogativi: 1° Ibn ‘arabî credeva davvero in tutto ciò che raccontava, sperimentando realmente queste vicende sopranormali, oppure era uno dei tanti mistificatori che su questo argomento ancor oggi zavorrano il terreno della ricerca obiettiva? 2° Usava la simbologia sufica per far intendere con parabole una verità trascendente? 3° Se era in buona fede e partecipava effettivamente a questi fenomeni, chi è il misterioso alKhidr?

Leggiamo, su Ibn 'arabî, quanto afferma lo storico positivista Philip Hitti (1964): « il XII secolo vide in Oriente l'inizio di una grande organizzazione della vita religiosa musulmanap parallela allo sviluppo degli ordini monastici della cristianità medioevale, e Ibn 'arabî - che rappresentava la scuola illuministica (ishraqi) o pseudo-empedoclea, neoplatonica e panteista fondata da Ibn Masarra e Ben Gabiriol -, fu l'uomo che dette a questo movimento sufi la sua struttura filosofica speculativa [ ... ] In giurisprudenza Ibn 'arabî appartenne nominalmente alla scuola zahirita (dell'interpretazione letterale) del suo compatriota Ibn Hazm; in questioni speculative egli passò per batinita (esoterico); nella teoria filosofica fu monista panteista, come dimostra la sua dottrina della wahdat al-wugiud (unità dell'esistenza). Il tema centrale del suo pensiero afferma che le cose preesistono come idee (a'yan thabita) nella conoscenza di Dio, dalla quale vengono emanate e alla quale ritornano. Non esiste la creazione ex nihilo; il mondo è semplicemente l'aspetto esteriore di Dio, che ne è l'aspetto interiore. Tra l'Essenza e i suoi attributi, cioè tra Dio e l'universo, non vi è una vera differenza. Qui il misticismo musulmano diventa panteismo. Il divino si manifesta nell'umano, e l'uomo perfetto (al insan al-kamil) è naturalmente Maometto. Maometto è anche il kalima, il logos, come lo era Gesù. Il vero mistico, secondo Ibn 'arabî, ha una sola guida, la luce interiore e troverà Dio in tutte le religioni. L'influsso della scuola illuministica, della quale Ibn 'arabî fu il maggior rappresentante spagnolo, è evidente non solo in circoli sufi persiani e turchi, ma anche nei cosiddetti scolastici agostiniani, come Duns Scoto, Ruggero Bacone e Raimondo Lullo [ ... ] Nell'opera al-Isra' ila Maqam al-Asra (Il viaggio notturno verso la meta del più magnanimo) dove sviluppa il tema dell'ascesa del Profeta al settimo cielo, Ibn 'arabî anticipa Dante».

E Louis Massignon (1922): «La forte personalità intellettuale d'Ibn 'arabî domina tutta la storia moderna del misticismo musulmano; egli ne è il rinnovatore incontestato, il Maestro per eccellenza non solo fra i sunniti arabi e turchi, ma anche per gli imamiti persiani».

E Idries Shah (1964): «E’ uno dei grandi sufi del Medioevo la cui vita e le cui opere oggi sappiamo essere profondamente penetrate nel pensiero sia dell'Oriente che dell'Occidente. Fu conosciuto dagli arabi come Shaikh al Akbar: il più grande dei maestri; e dall'Occidente cristiano col titolo di Doctor Maximus».

Non si può giungere a ciò se si è un mistificatore. L'opera di Ibn 'arabî (252 libri) rimane tutt'oggi a conferma della sua serietà. D'altronde ai suoi tempi nessuno dei suoi molti detrattori e nemici l'accusò mai d'essere un ciarlatano o un visionario.

E alKhidr, quel misterioso personaggio che gli apparve più volte dal nulla, chi era? Ne parla il Corano: Mosè, fuggendo dall'Egitto, si dirigeva alla confluenza dei due mari, quando «trovò uno dei nostri servi che abbiamo gratificato con la nostra misericordia e al quale avevamo insegnato una scienza emanante da noi. Mosè gli chiese: «Posso seguirti, affinché tu mi insegni un poco della scienza della buona direzione, alla quale tu sei stato iniziato?" (Corano XVIII, 65-66) ».

Secondo la tradizione e l'esegesi, il personaggio incontrato da Mosè è presente, si può dire, in tutte le leggende orientali sotto altri nomi. Ad esempio nell'Epopea di Gilgamesh per i Persiani, nelle vesti del profeta Elia per gli Ebrei. Egli è giunto di là dai confini del sapere umano, per cui rimane in perpetuo sulla terra, percorrendola da un capo all'altro. Allorché incontra una persona che riconosce degna, la inizia alla Conoscenza, investendola così del potere di comunicare la Verità segreta agli altri. Nel mondo islamico il suo nome è alKhadir, o alKhidr, o Khider: il Verde. Per i sufi è la « guida che può insegnare » ad un eletto, senza che questi debba appartenere ad una silsila, senza che questi debba avere altro maestro che lui. Secondo Si Boubakeur Hamza (1972) rappresenta «la precarietà della scienza, della saggezza e della giustizia umane, in rapporto a quelle assolute di Dio. Gli uomini precipitosi nei loro giudizi rimangono all'esterno delle realtà profonde. L'armonia prestabilita da Dio nella sua creazione è inaccessibile alla loro comprensione, eccezion fatta per qualche eletto. I mistici dell'Islàm hanno ripreso il tema per meditarlo e viverlo nel loro sforzo di raggiungere realtà di là dalle apparenze. Mosè credeva di possedere tutto lo scibile che un uomo può possedere. Dio gli rivelò che uno dei suoi servi lo superava nell'ambito della Conoscenza. Il profeta Mosè volle conoscere questo felice privilegiato: si trattava del profeta AI-Khadir o Khider (il Verde), eternamente in viaggio, che si svela a volte a qualche raro eletto da Dio e la cui esistenza sembra di fuori dal tempo e dallo spazio. Su questo misterioso personaggio che era arrivato al limite usuale dell'oceano della terra (scienza esteriore) e all'oceano del cielo (scienza interiore) e che, avendo bevuto alla sorgente della vita ha ricevuto in dono la saggezza suprema, vi sarebbe molto da dire».

In questo stesso senso i sufi intendono l'iconoclastia delle immagini di Dio, al quale si può giungere attraverso il simbolismo e l'astrazione, e non con i mezzi della condizione umana usuale.

 

 

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