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INTERPRETAZIONI DEI FATTI DELL'11 SETTEMBRE

Clericus

 

Caro Dario, vedo con piacere che il tuo sito non disdegna di accogliere apporti che - pur richiamandosi ai temi che in esso solitamente sono trattati - hanno un riferimento immediato a ciò che si definisce genericamente l’Attualità. La quale, nell’immaginario collettivo, è identificata con la realtà, nella sua versione presente. Le Riflessioni sulle conseguenze dell’attentato alle Twin Towers di Anonimo è un articolo intelligente e molto interessante, se non altro perché non dipende, in quanto a impostazione e a contenuto, dall’impostazione dominante nei mass media.

Vediamo quali riflessioni si possono fare sull’argomento.

 

1. Come ti racconto la Storia

Una prima osservazione è che, per la maggior parte delle persone, ciò che è accaduto è un evento vissuto mediaticamente. È ovvio: il fatto è accaduto lontano, non ci coinvolge direttamente, e lontana sembra esserne l’origine - anche come dimensione mentale. Per “origine” intendo sia il movente della decisione di compiere l’impresa, sia il complesso delle cause (storiche, sociali, culturali…). Ma non voglio affermare che l’accaduto sia privo di una consistenza propria, anche se le sue dimensioni oggettive sono probabilmente inferiori a quelle costruite dall’industria dell’informazione (diciamolo pure, dell’educazione popolare attraverso i mass media). Ciò che intendo porre, come punto di partenza di ogni analisi, è che la percezione e la traccia lasciata nell’immaginario personale dell’europeo medio sono state fortemente condizionate - se non determinate - dal modo in cui l’evento è stato descritto e commentato. Come è stato descritto? Soprattutto attraverso analisi razionali? Ma no, queste ci sono pure, ma interessano poche persone; l’informazione - non solo in questo caso, certo, ma questa volta in modo assolutamente evidente, senza freni, senza remore - o per meglio dire l’illustrazione, la narrazione del fatto, hanno assunto le forme del dramma e della tragedia. Non sto dicendo che non vi sono dramma e tragedia: non è questione di contenuto, ma di forma della narrazione o della rappresentazione. Perché bisogna essere consapevoli che le “notizie” non sono più luogo del discorso, articolate cioè attraverso il linguaggio descrittivo, ma contengono immagini, trasmettono e vogliono trasmettere impressioni, emozioni, suggestioni e sono per ciò estremamente efficaci nel diffondere un certo tipo di immaginario, di interpretazione del mondo.

 

2. I metodi di analisi

La situazione discussa nel punto 1 comporta alcune difficoltà nel cogliere il senso e l’esatta collocazione degli eventi. Non si tratta di quantità dell’informazione, ma di qualità, anzi di modalità. Cosa può significare “capire” un evento storico? Vuol dire cogliere l’evento non come singolarità, ma nelle sue relazioni di causa ed effetto e nel suo rapporto con gli altri elementi del presente, del passato e del futuro. E come si opera a tal fine? Mediante l’uso di strumenti concettuali: logica deduttiva e analogie. Ciò implica un’ipotesi di fondo razionalistica: la ragione deve poter esprimere anche gli elementi in sé non razionali, non ancora razionalizzati, per poter esprimere - per poter tentare di esprimere - un giudizio completo. L’alternativa è il non-capire , l’irriducibilità del fatto alla ragione, la sua lettura come atto di follia o atto divino o qualche altra corbelleria. Quali strumenti sono adatti? Cominciamo con quelli classici di natura politica.

Se vogliamo analizzare un evento percepito attraverso mediazioni, non possiamo prescindere dai contenuti attuali dell’immaginario personale e collettivo europeo, vale a dire le categorie politiche entro le quali gli europei - almeno quelli che hanno interesse all’analisi storica - cercano di situare gli eventi. Siamo guidati da concetti generali sviluppatisi nel corso degli ultimi due o tre secoli. Alcuni di questi hanno una radice ideologica: non è chiaro se siano funzionali al di fuori dello schema di cui fanno parte. Questo va tenuto presente quando ci troviamo a giudicare eventi le cui motivazioni sono estranee alla visione del mondo comune agli europei.

Come è noto, l’immaginario politico dell’europeo medio distingue tra Destra e Sinistra. Benché semplicistica e sotto molti aspetti mistificante, e attraverso molte reinterpretazioni e travestimenti, tale distinzione perdura da circa due secoli, dominando pressoché incontrastata per quasi tutto il XX secolo. Ovviamente non è l’unica antitesi che si può proporre: per esempio, l’antisemitismo presuppone contrapposizioni di altro genere; ma vi è un sostanziale accordo che l’opposizione tra Destra e Sinistra sia quella fondamentale. Si possono dare diverse interpretazioni di tale antitesi, quali espressioni del conflitto borghesia-proletariato, o capitale-lavoro, o conservazione-progresso, o reazione-rivoluzione, o ordine-sovversione, ecc; di fatto, queste diverse interpretazioni, in una data epoca, in un dato luogo, si sommano e convergono nella distinzione fondamentale. Tra l’altro, si tratta di un’antinomia essenzialmente non religiosa, anche se in essa trovano di fatto collocazione partiti che si richiamano a valori religiosi. Tuttavia, tale contraddizione si è sviluppata storicamente all’interno della civiltà europea; ma come la mettiamo con quanto è successo? Sembra che qui Destra e Sinistra non c’entrino per niente. Gli attentati hanno un significato, per esempio conservatore o rivoluzionario, o è meglio classificarli come irriducibili a queste categorie, liquidando la questione come un “conflitto di culture” o “terrorismo” e non altro?

 

3. Precedenti storici

Non possiamo dare un giudizio sensato nei soli termini del linguaggio politico europeo: un po’ perché è spesso inaffidabile e fuorviante (specie se si parla di “progresso” - le rivoluzioni sono generalmente associate a un’idea di progresso, e rivoluzionario è colui che lo accelera, o lo realizza con strumenti sovversivi), e soprattutto perché molto di quanto è successo sembra sorgere da un mondo lontano, più vecchio di quei due-tre ultimi secoli nei quali si è costruita l’identità attuale dell’Occidente. Si direbbe che - se proprio vogliamo cercare un precedente - la figura storica che più assomiglia a Bin Laden sia quel Hasan Sabbah che divenne il capo degli Assassini in Alamut; forte è la rassomiglianza come struttura dell’organizzazione, presa sui seguaci, modo di procedere (per attentati). C’è però qualche differenza: gli Assassini svolgevano la loro attività nei paesi islamici, e i loro atti erano rivolti contro persone singole, non contro strutture e istituzioni-simbolo e il loro scopo non era la distruzione di un mondo totalmente estraneo quale potrebbe essere l’attuale America nei confronti di un Islàm ortodosso (o inteso come tale). Insomma, significato e contesto di al-Qa`ida sono ben diversi. Non abbiamo mai una vera ripetizione di una figura emblematica, di un evento, di una situazione; solo qualche aspetto di ciò che fu ritorna nel presente.

Volendo insistere nella ricerca dei precedenti, questi non mancano; ma, se si esce dal mondo islamico, sono sempre corrispondenze parziali, che colgono qualche aspetto non sostanziale.

Gli attentati in America hanno qualche somiglianza con quelli in passato attribuiti agli Anarchici (veri o presunti) e ai Rivoluzionari russi dell’800, che, in quanto a metodi, erano i più radicali: azioni individuali nei confronti di singole persone, in particolare sovrani o capi di Stato (Umberto I , lo zar Alessandro II , l’imperatrice Elisabetta d’Asburgo, il presidente Sadi Carnot…) condotte da persone che avevano ben presente la possibilità di perdere la vita nell’attentato, o in seguito. Nell’immaginario dei rivoluzionari, queste azioni avevano carattere simbolico - mostrare la vulnerabilità del potere - o vendicativo. A quanto sembra, l’attentato alle Twin Towers sarebbe stato attuato per il loro valore simbolico di centro del potere finanziario e per ritorsione contro la politica americana in Medio Oriente. Si tenga presente che il “potere” nel secolo XIX è ancora attributo di individui singoli: oggi, è attributo piuttosto di istituzioni politiche e soprattutto finanziarie. Nell’immaginario popolare del secolo XIX (e XX), soprattutto l’anarchico è l’avversario radicale della società costituita in Stato: un individuo dalle intenzioni sinistre, con una bomba in mano, contiguo al terrorista e al criminale (vedasi Lombroso, per il quale gli anarchici sono scientificamente delinquenti). Altra somiglianza abbastanza impressionante: i rivoluzionari russi (narodniki e nichilisti) generalmente erano di estrazione sociale elevata, e provenivano da classi sociali che godevano, nei confronti del resto della società, di una posizione di potere estremamente forte, nell’ambito di un regime autocratico costretto a far fronte a forti pressioni esterne e interne. Anche Bin Laden è di estrazione sociale elevata, e contesta la politica dei leader arabi, che sono o si atteggiano ad autocrati. (1)

(1) Una interessante analisi di al-Qa`ida che ha punti in comune con la mia ed è incentrata sul concetto di setta millenarista, è quella fatta da Pierre Connesa nel sito http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Gennaio-2002/0201lm04.02.html.

 

4. Forma e contenuto

Possiamo ricollegarci a quanto appena detto: i precedenti non sono identici al caso attuale, ma c’è qualche continuità. E allora? Anarchici, populisti, e, più recentemente, brigatisti si consideravano ed erano considerati rivoluzionari, e lo scopo di ogni loro azione dovrebbe essere qualificato allo stesso modo; tuttavia è molto difficile sostenere che lo fossero le conseguenze. Ogni attentato è stato sfruttato per riaffermare l’ordine esistente. E anche in questo caso, gli effetti non sembrano affatto rivoluzionari: come già accadeva nel caso di attentati di matrice rivoluzionaria, la stampa, la televisione, i politici di carriera, ma anche la gente comune (in Occidente, almeno) hanno qualificato i rivoluzionari, veri o presunti, come “terroristi”. A parte ciò, pare che gli sviluppi successivi abbiano rafforzato piuttosto che indebolito la posizione degli Stati Uniti. Gli esiti del terrorismo europeo (autentico o simulato) e di quello “islamico” sembrano essere gli stessi.

Ma - si obietterà - non è possibile, nemmeno attraverso le più estreme forzature, assimilare in qualche modo l’Anarchia (libertaria, antinormativa, antireligiosa) e il “terrorismo di matrice islamica”. In effetti è assolutamente impossibile, se si guarda all’ideologia, cioè al contenuto discorsivamente manifestato, e allo scopo dichiarato. Ma un movimento politico non è solo l’ideologia esplicita; esso coinvolge sempre altri significati, e motivazioni razionalizzabili forse mediante indagini psicologico-ambientali, ma in sé non razionali. Inoltre, possono esservi corrispondenze non di contenuti precisabili, ma di forme, intese come modi di (re)agire, di operare, che valgono per posizioni altrimenti in assoluta antitesi. “Anarchia” significa originariamente antitesi radicale, senza possibilità di mediazione, coi rapporti di potere costituiti nello e dallo Stato. Da questo punto di vista la religione è una forma normativa autoritaria che deve essere negata: non c’è possibilità di una sua rifondazione libertaria. L’elemento fondante del pensiero anarchico classico è la negazione dell’ordine politico, economico, sociale così come si era ricostituito nel XIX secolo. Lo Stato e Dio sono i fondamenti di tale ordine. Il carattere di negazione radicale, confermato da atti distruttivi, del presente ordine mondiale, e dell’“Occidente” che ne rappresenta la trasfigurazione ideologica, proprio dell’Islàm più radicale, ha una forma affine pur considerando l’enorme differenza di contenuto. La differenza sta nel bersaglio - quello dell’Islàm radicale sono la modernità e l’Occidente che la simboleggia, perché questo è l’aspetto sotto il quale esso vede il potere mondiale - e soprattutto nella motivazione cosciente: una motivazione libertaria per gli uni, la conservazione di una società basata su norme tradizionali per gli altri.

Un altro precedente più credibile (secondo qualcuno): l’Ayatollah Khomeini. Posso solo esprimere un’impressione. C’è qualche continuità, nel senso che entrambi rappresentano un riscatto nei confronti del mondo occidentale dal punto di vista dei valori religiosi. Peraltro, l’Ayatollah usò metodi non convenzionali nei confronti degli Stati Uniti, e l’Iran è spesso accusato di sostenere il “terrorismo”. Entrambi si sono posti come difensori di un Islàm ortodosso nei confronti di un Occidente “satanico”. Per entrambi, la religione assorbe tutto. Tuttavia, Khomeini sembra più “moderno” di Bin Laden: per certi versi, in Iran è avvenuto qualcosa che assomiglia ad una rivoluzione (larga partecipazione popolare, intenzione di ridurre le disuguaglianze, riforme economiche in senso progressista…), tanto è vero che l’Ayatollah Taleghani - secondo nella gerarchia - venne definito “l’ayatollah rosso”: si potrebbe azzardare l’ipotesi per la quale, in Iran, il processo storico di modernizzazione ha assunto una forma religiosa, e un contenuto progressivo. Almeno, diciamo che qualcuno c’è cascato, perché è estremamente difficile che il riaffermarsi di un potere di natura religiosa possa essere un aspetto della modernizzazione. Insomma, l’equivoco ha funzionato - fino a un certo segno - con l’Ayatollah Khomeini, che riuscì a farsi passare per rivoluzionario, ma con Bin Laden non c’è niente da fare: non risulta che si consideri tale, né che qualcuno lo gabelli per tale (però, recentemente, un generale pakistano ha osato affermare, in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, che i talebani sarebbero dei rivoluzionari. Ci sono infiniti modi di rappresentare la realtà - il sopraddetto generale aveva anche previsto che i talebani avrebbero vinto). Faccio notare che l’attuale regime iraniano non aveva buona rapporti col Mullah `Omar; di più: forse l’Iran avrebbe reagito con la forza, se gli Stati Uniti non l’avessero dissuaso.

Va detto comunque che questa rottura di continuità tra le massime figure dell’Islàm radicale potrebbe essere indotta da fattori esterni, il cui svolgersi è tuttora in corso, e il cui esito - se ci sarà - sconfina in un futuro indefinito. Sto parlando dell’attuale fase della globalizzazione, che ha travolto parecchi di quelli che erano punti fermi fino agli anni ’70: forza dell’Unione Sovietica, terzomondismo, “socialismo arabo”, movimenti di liberazione, sono diventati archeologia, o sono rottami quasi inservibili. In particolare, si è offuscato il mito della Sinistra nelle sue varie forme, soprattutto come forza propulsiva agente a livello mondiale. La Sinistra non è stata solo un fenomeno europeo; attraverso le classi occidentalizzate delle ex-colonie, i suoi valori e la sua visione del mondo si sono propagate in tutto il mondo, compreso il Medio Oriente, che ha visto l’affermarsi del “socialismo arabo” di ispirazione nasseriana (i regimi baathisti di Siria e Iraq, benché completamente degenerati, sono epigoni di quell’illusione). Si sa quale fine abbia fatto la Sinistra. Nel mondo arabo, probabilmente, la fine dell’illusione e altri disastri (questione palestinese, difficoltà dell’economia, contrasti interni) hanno operato una sorta di chiusura nei confronti di certi sviluppi, la cui causa ultima è nei processi di sviluppo tecnologico e di “razionalizzazione” dell’economia avviati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Perciò, nell’immaginario dell’arabo mussulmano, la contrapposizione al mondo occidentale - pur mantenendo continuità di contenuto - ha radicalmente cambiato forma, recuperando valenze simboliche e significati ancora più antichi; insomma, si è medievalizzata, scadendo di qualità.

Questa interpretazione può avere interessanti risvolti. Se lo svolgersi degli eventi si esaurisce in un fallimento storico , si possono manifestare - e si manifestano, se ci sono forze disponibili - delle reazioni “irrazionali” in quanto negatrici della realtà - e quindi utopiche - assolutamente distruttive. Non bisogna fare confusione con i processi rivoluzionari: questi iniziano sempre con l’eliminazione del vecchio ordine, ma procedono costruendo nuove strutture e nuovi rapporti di potere. Ma quando non c’è soluzione positiva, emerge la soluzione negativa. Questa assume forme veramente stupefacenti, trasferendo su un piano collettivo certe pulsioni caratteristiche del suicida-omicida. Elementi di questo genere si possono forse riscontrare in certi aspetti del fascismo, del movimento franchista, del nazionalsocialismo: movimenti che però hanno anch’essi con l’Islàm radicale un rapporto molto tenue - ma hanno in comune la negazione radicale della modernità, nel suo aspetto liberale.

Si potrebbe anche tentare un’altra chiave interpretativa, che potrebbe aggiungersi alla precedente, pur senza negarla. Esistono sempre - specie in regioni del mondo con gravi problemi - individui reclutabili per fini di basso profilo. Si può fornire loro una qualche motivazione - una variante estrema di una ideologia diffusa può andare bene -, un capo carismatico - o può darsi che questo emerga in un secondo tempo - e dei mezzi, e utilizzarli per certi scopi; nel nostro caso, gli scopi reali avevano carattere strategico: contenimento della Russia e delle forze filorusse in Medio Oriente. Riuscito il fine originario, le organizzazioni così create cessano di essere utili, ma non necessariamente di esistere: se riescono a trovare nuovi appoggi e a conservare parte dei vecchi, sopravvivono, trasformando l’ideologia fasulla e strumentale che fungeva da bandiera in un fine supremo. E, per sopravvivere, devono attirare nuovi seguaci, sempre più disperati e fanatici, mediante azioni spettacolari, capaci di colpire l’immaginazione rivelando la propria onnipotenza e la debolezza dell’avversario. Questo processo degenerativo e delirante, sfuggito ad ogni controllo (ma sarà poi vero?) , può portare agli esiti più straordinari. Sarà poi difficile ricostruire nei dettagli quanto successo: i vecchi burattinai - indirettamente responsabili del disastro - cercheranno di mascherare i rapporti passati con tali organizzazioni; e queste, per motivi dello stesso genere, faranno altrettanto. I primi se la cavano gridando a più non posso contro il terrorismo, sostenuti da opinioni pubbliche acritiche e spaventate. I secondi - o quello che resta - sempre più isolati, si immergono nell’oscurità, e la loro attività è probabilmente destinata a un drastico ridimensionamento.

 

5. Bin Laden reazionario

Pare - sempre stando a quanto ci narrano i mass media - che Bin Laden e seguaci godessero di un certo prestigio, sia prima che dopo gli attentati, tra le masse islamiche. Anche qui, bisogna procedere con una certa cautela; come abbiamo visto, il fatto che fosse popolare - ammesso che sia vero, e in qual misura? - non implica, in sé, che possa in qualche modo essere considerato un “progressista”. In realtà, sembra che le cose stiano in modo alquanto diverso. Potrebbe benissimo darsi che al-Qa`ida, e più in generale l’integralismo islamico estremo, lungi dall’esprimere istanze in qualche modo “progressiste”, non siano altro che un’espressione, non completamente formulabile nel piano razionale e discorsivo, di aspetti del mondo islamico in conflitto con la modernità, ad essa irriducibili e - nel caso in cui il processo attuale di mondializzazione dovesse procedere, come sembra probabile - destinati all’estinzione. Insomma, una sorta di “luddismo” trasfigurato nella forma culturale-religiosa. Vi sono molti indizi a favore di questa ipotesi: anzitutto, fenomeni ben noti accaduti nell’Europa durante la rivoluzione liberale (valga per tutti il Sanfedismo nel Regno di Napoli), i quali dimostrano come il “popolo” - in particolare, la massa meno “civilizzata” - reagisce negativamente, violentemente, visceralmente, “irrazionalmente” di fronte a certe novità. Un altro esempio, ben noto a Napoleone e ai suoi sfortunati marescialli, è quello dell’insurrezione spagnola del 1808. Qui, la somiglianza con l’integralismo islamico è - apparentemente - abbastanza forte: la guerra viene condotta con estrema decisione e con la benedizione di buona parte del clero; il rifiuto del sistema importato dall’esterno è radicale e assoluto. Certamente il mondo attuale è ben diverso da due secoli fa e l’Europa non è l’Oriente: ma sia allora come oggi sembra che intere nazioni - o parti significative di esse - si oppongano con ogni mezzo a ciò che dall’esterno minaccia l’ordine tradizionale esistente. Questa opposizione non ha solo carattere ideale, non è pura reazione dello spirito astratto: le novità liberaleggianti dei giacobini napoletani o di Giuseppe Bonaparte minacciavano veramente la vita economica di popolazioni che avevano nel vecchio ordine feudale alcune garanzie (se vi sono dubbi in proposito, si considerino gli effetti sul piano sociale del liberalismo e dell’industrializzazione in Inghilterra e in Francia agli inizi del XIX secolo). È un fatto, tuttavia, che assume ancora una forma religiosa. Ma anche questo non è una novità: l’Europa dei secoli anteriori al XVII sviluppa ancora attraverso ideologie religiose i suoi conflitti di classe (il Calvinismo come sovrastruttura ideologica dei borghesi olandesi e francesi, il Cattolicesimo in Spagna nello stesso ruolo per la nobiltà guerriera). E perché assume tuttora una forma religiosa? Forse che l’Islàm è una religione particolare, capace di esprimere, interpretare, vincere il conflitto con la modernità, mentre in qualche modo il Cristianesimo ha dovuto adattarvisi? È molto improbabile che le cose stiano in questo modo. I precedenti storici - ammesso che implichino processi ricorrenti, il che per la verità è da verificare - sembrano piuttosto indicare che l’Islàm riassuma - elevandola alla sfera religiosa - un certo tipo, complesso e articolato, di struttura dei rapporti personali, e della visione del mondo, di una società pre-industriale, e poco propensa all’industrializzazione. Il fatto è che la “modernità” in Occidente si è sviluppata gradualmente mediante un processo interno, mentre in molti Paesi appare come un adattamento a una pressione esterna, una forzatura. Detto altrimenti: le classi dirigenti di certi paesi islamici, minacciate nell’esercizio del loro potere dall’integrazione con le forme economiche e politiche occidentali, necessariamente liberaleggianti, possono aver trovato nell’Islàm - o in una particolare versione dell’Islàm - uno strumento per arginare l’occidentalizzazione e mantenere il proprio prestigio sociale e il potere. Di più: gli stessi Paesi occidentali - Stati Uniti in testa - possono aver favorito o comunque non ostacolato questa condotta, sia per ragioni di stabilità regionale, sia in funzione anti-russa. L’appoggio alla resistenza antisovietica in Afghanistan è un esempio di questa strategia (2). La fine dell’Unione Sovietica avrebbe posto fine alla necessità - da parte degli Americani - di sostenere movimenti islamici estremi, e questi hanno trovato la loro ragion d’essere nella difesa violenta dell’Islàm contro l’Occidente. Se le cose stanno in questo modo, che il processo di “secolarizzazione” dei paesi islamici proceda sulle strade già percorse in Occidente o no, dipenderà dalle trasformazioni sociali indotte dal processo di ammodernamento dell’economia - ammesso che avvenga secondo schemi liberistici.

(2) Per un cenno sugli intrecci politico-finanziari tra Stati Uniti, Arabia Saudita e al-Qa`ida cfr. http://www.saggiatore.it/05libro.asp?categoria=TRO&codice=3239.
Cfr. anche l’articolo “Guerra Duratura” di Rossana Rossanda: http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/23/23A20011203.html

 

6. Bin Laden sovversivo

Tuttavia, per quanto riguarda l’appoggio dei regimi arabi all’integralismo islamico e ad al-Qa`ida in particolare, questa interpretazione incontra non poche difficoltà. Intanto, molti regimi arabi non appoggiano alcuna organizzazione islamica radicale, anzi. In secondo luogo, Bin Laden si atteggia a leader carismatico nel mondo mussulmano, ma non è certo un difensore dell’attuale stato di cose. Se il suo apparato militare è stato diretto esclusivamente contro obiettivi occidentali, anzi americani, il contenuto politico del suo messaggio non è certo di sostegno ai regimi dei Paesi arabi e mussulmani, nemmeno nei confronti di quelli integralisti (Arabia Saudita) - eccezion fatta, ovviamente, per l’Afghanistan e il Pakistan prima dell’avvento di Musharraf. La guerra contro le strutture militari e i simboli degli Stati Uniti si accompagna a una critica severa, in particolare, proprio del governo saudita. Se è impossibile qualificarlo come rivoluzionario, è tuttavia un sovversivo. E allora? D’altra parte, al-Qa`ida ha disposto - e forse dispone tuttora- di ingenti sostegni finanziari e logistici, che non possono derivare dalle attività finanziarie private di un uomo solo. I fortissimi interessi in gioco nell’area medio-orientale e centroasiatica possono forse spiegare molte contraddizioni: la loro pressione può superare i contrasti politici, generando una situazione complessivamente equivoca, decifrabile solo attraverso l’intreccio degli affari. C’è, comunque, anche una interpretazione politica, legata alla natura di certi regimi. Nel mondo medio-orientale, il governo visibile è spesso emanazione di gruppi, famiglie, confederazioni tribali, sette che travalicano i confini nazionali. Ciò vale per i regimi di Siria e Iraq come per l’Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo. I rapporti sono complicati, spesso indefinibili in termini di decisa alleanza o decisa opposizione. Non si può escludere che singoli personaggi potenti o gruppi rivali, ma non in conflitto aperto tra di loro, ricorrano al sostegno di organizzazioni estreme, appoggiandole ed essendone appoggiati. Paradossalmente, Bin Laden fonde nella propria figura potere tradizionale e sovversione.

 

7. Ulteriori considerazioni

Quasi a conferma di quanto detto nei punti precedenti: non si può negare che la vicenda delle Twin Towers abbia lati alquanto oscuri. Non mi riferisco tanto alle voci - difficilmente controllabili - secondo le quali i servizi segreti americani o il governo americano o chissà chi sapessero “qualcosa” ma non avrebbero preso alcun provvedimento. Non sarebbe certo la prima volta che i servizi segreti di qualche Paese scoprono cose interessanti, che però non rivelano, o che vengono trascurate e volutamente ignorate. Si potrebbe citare il caso Sorge - ma anche su Pearl Harbor furono avanzati dei sospetti. Il fatto è che forse dei servizi segreti non ci si può sempre fidare; quelli italiani degli anni ’70 e ’80 avevano preso strane abitudini: depistaggi, false informazioni, coperture…

Per la verità, l’ipotesi che qualcuno sapesse non è da scartare; noi dobbiamo accontentarci di una dietrologia domestica, senza troppe pretese, ma basandoci su alcuni fatti indiscutibili.

La prima cosa da considerare è che, nel mondo supertecnologico dove tutto è intercettabile, registrabile, decifrabile, appare perlomeno strano che Americani, Israeliani, amici degli Americani e nemici di Bin Laden (ne avrà pure qualcuno) non si siano accorti di nulla. È pur vero che anche Bin Laden pare giocasse con la tecnologia avanzata, ma sembra che la sua specialità fosse l’architettura delle grotte in Afghanistan. D’altronde un Bin Laden tecnologico sta all’America tecnologica come un kalashnikov sta a un B-52. Forse l’uomo batte ancora la tecnologia?

Certi sospetti nascono probabilmente da una considerazione ahimè obiettiva, molto obiettiva. Bin Laden è in Afghanistan, e l’Afghanistan, per ragioni abbastanza chiare a chiunque guardi una carta geografica, è un posto strategicamente interessante. Un attentato sarebbe stato un’ottima giustificazione da sfruttare per iniziare una campagna contro lo stesso Afghanistan, poi l’Iraq e poi - attraverso la teoria dell’Asse del Male - qualche altro paese. Risultato: non si parla più dei rapporti passati, i marines sono dappertutto, l’ordine mondiale è garantito, la supremazia militare politica degli Stati Uniti durerà per un tempo indeterminato. È chiaro però che queste considerazioni non dimostrano nulla.

Altra stranezza: il numero delle vittime degli attentati. Si comincia con cifre piuttosto elevate (10.000 o più) e, dopo due mesi e oltre, viene comunicato che le vittime sono molte di meno. Perché così tanto tempo per comunicare il numero effettivo?

Qualche problema sorge anche a proposito delle apparizioni di Bin Laden trasmesse da al-Jazira. Non vi è alcun altro canale mediatico tra questo signore e il resto del mondo. Fino a che punto ciò che è stato trasmesso è autentico?

Un intermezzo più misterioso che mai: la faccenda dell’antrace - su cui è sceso un silenzio tombale. Ma chi e perché ha diffuso l’antrace in America, ammesso che fosse antrace? Di nuovo la tecnologia che non funziona.

Strano è anche l’esito (per ora provvisorio - ma forse non mi sbaglio, se prevedo che non ci saranno novità per alcuni anni) di tutta la vicenda. Come è noto, gli Americani hanno proclamato, ripetuto, arcipromesso che avrebbero preso Bin Laden e il Mullah `Omar (di cui, ci dicono le solite fonti, esisterebbe una sola fotografia). È chiaro che fra i due vi è una profonda intesa spirituale, anzi un comune destino, al punto che entrambi sfuggono sempre alla cattura o alla morte per una questione di due ore al massimo. Di nessuno dei due si sa più nulla; ma nel caso di Bin Laden forse non c’è da stupirsi. Curiosa è la sorte del Mullah `Omar. A sentire le cronache, questo singolare personaggio avrebbe guidato i suoi da Qandahar per tutto il corso della campagna e si sarebbe allontanato solo alcuni giorni dopo la presa di Kabul, dopo trattative con i capi locali, mentre i nostri stavano a guardare. A quanto pare non si riesce a localizzarlo, cosa strana, dati i mezzi attualmente disponibili. Anzi, la tecnologia continua a fallire: pare che `Omar sia sfuggito alla cattura scappando in moto.

 

[Aprile 2002]

   

 

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