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Dario Chioli

LA MADRE DEL CUORE

Poesie dei diciannove anni

    

   

Sommario

1975L'effigieLa Madre del Cuore
 La follia splendidaSe dagli antri segreti
Nello spirito oppresso degli statiLa spondaIl ritorno di Ulisse
Pan custode di selveL'età più sinceraL'aurora, inseguendo il crepuscolo, suo irraggiungibile sposo, dà luogo al mondo
Il nostro vivereIl segreto cristalloCome in un magico archetipo di tempo
D'ogni spondaL'arcano mondoIn aspra fuga
Kirkussend e il suo nomeCome su riva il fiumeLe due porte
SpecchiIl centroCome il frutto più vero
CieliCome attore la scenaL'ultima canzone
I nemici di HeliosSpira da lungi 
L'altalenaSpina amorosa1976
La soglia su cui scriveviCosa racconti? 
Il vaso degli stuporiBallata del santo folleLa lepre
Canto amoroso oltre la notteLa giovinezzaDalle sponde lontane
Canto di cose perduteNé dolore né gioiaEsser vivi
Quasi da un'onda infrantiToglier se stessi dalle usate sfereOggi
ContrastiLe sfereQuasi un'arcuata chimera
Le porte dei mariVisioneA ogni richiamo

    

   

  

Nello spirito oppresso degli stati

Intorno a noi il mondo ottenebrato d’inganni
ha eretto paraventi scuri come la notte
perché la verità non fugga dalle celle degli eremiti
con i suoi venti irresistibili che strappano la terra
ed i semi di luce rimangano rinchiusi
come in un sonno nello spirito oppresso degli stati.

11.2.1975

   

   

Pan custode di selve

Radiosi filari di lance
cadono dal sole.
Luminose follie
dal fondo della coppa bevo.
Sale alle trame bianche del cielo
il silenzioso pensiero,
e al suo delirio di luce
col suo flauto accorre
Pan custode di selve.

14.2.1975

   

   

Il nostro vivere

Un giorno ebbi silenzio e solitudine:
tutto era notte in me e si tremava
allo spirar del vento d’occidente.
Che cos’era quel sogno? Forse vivere?
Se era vivere, immenso è il nostro vivere.

3.III.1975

   

   

D’ogni sponda

In qualche istante ti ho veduto vivo,
folgorazione che durò ben poco;
ma infinito premeva e traboccava
d’ogni sponda nel vuoto il nostro cuore.

3.III.1975

   

   

Kirkussend e il suo nome

Svela, Kirkussend, il segreto del tuo nome.
Levasti alta la daga, percuotendoci
con la lama affilata del tuo nome.
Svelati a noi, messaggero nascosto.
Sorto in solitudine di là da ogni confine,
sei forse, Kirkussend, il principe dei deserti?
Sei forse il senso ultimo delle carovane?
Sei forse Venere, primo attore delle notti stellate?
Sfolgorò il tuo nome, meridiana luce,
ed eri, Kirkussend, l’angelo del buio.
Chi fu che ti fece re
di questo mio perenne vagabondare?
Chi ti trascrisse sul capo il segno della morte
e ti scolpì nel petto la forma della vita?
Eri, Kirkussend, come stella appena nata
avvolta nelle fasce della Via.
Eri, Kirkussend, come il morente Fato
che fatalmente si dissolve in se stesso.
Eri, Kirkussend, la gloria senza pari,
la luce ultima di tutti i deserti.
Eri l’enigma di tutti gli enigmi,
l’enigma del rinascere e del tornare a morire,
e la stella che splendette un giorno in cielo
ti ha tratteggiato un’oscura corona.

20.III.1975

   

Specchi


I.

Nel silenzio indosso
un velo antico.

II.

Il nero perfetto della morte:
cos’è quest’empio grigio timore?

III.

Cercavo favole.
La realtà, bellissima,
ho incontrato.

IV.

Immagini infinite
nel cielo.
Descriverle
è percuotere il vuoto.

V.

Smemorato,
ho trovato
il segreto del ricordo.
 
VI.

Nel mare uno scoglio
si protende.
S’inabissano le onde, infrante,
nel vorticoso cuore onde nacquero.
 
VII.

La mia anima è un bosco
con fusti addossati
immani.
Passa il canto del deserto
e si fa radura
dietro la reggia della luna.
 
VIII.

Ha sparso dentro il nulla la vita
parole.
Tutto assomma a un grido.
 

IX.
 
Vi derido
come deridono i pazzi.
Troppo dolore è
coscienza.

X.
 

Boccadifuoco apre la bocca,
ognuno fugge. Ma non vedete
che gli brucia il cuore?
 

XI.

Arturo e Lancillotto van colpendo,
eroi battaglieri. Dentro di me
Chisciotte va ridendo.
 

XII.

Dentro deserti spiriti, Chisciotte,
vai forse cercando antiche fate?
 

XIII.

Ho già vinto e vinco ancora.
Il grande pazzo
scuote la terra.
 

XIV.

Una parola direi,
ma è troppo e poco,
perché non siete ricchi
di ricchezza.
 

XV.

Povertà vo cercando
e non mi fermo.
Cosa resta o non resta,
che m’importa?
 

XVI.

Amici cari, andate un poco a zonzo
col pensiero o col passo. Non restate
qui a guardar questi specchi che deformano.

5.IV.1975

   

   

Cieli

I.

Tra grovigli di nuvole nel cielo
mio deserto
uno squarcio di luce.
 

II.

Esser sepolto vorrei dentro quel mare,
chiudere gli occhi in dolce dileguare,
scorgere in cielo dietro vaste mura
luce infinita d’infiniti spazi.
 

III.

Come un bambino cerco con le mani
d’afferrar spesso quel soffice cielo.
Pieno dell’aria della sera un bacio
getto nel tempo, né so chi bacerà.
 

IV.

Prìncipi ariosi scorrazzano lassù,
irrequieti bimbi là ci giocano.
Quaggiù i poeti difficilmente indagano
come creare così vasti amori.

7.IV.1975

   

   

I nemici di Helios

Ho un sangue di monti oscuri
coperti dalla perenne mezzanotte
delle nubi cozzanti negli uragani.
Ur, Memfi, Cuzco e le terre del passato
e Averno e i nemici di Helios
continuamente c’inviano fremiti
di voli istantanei improvvisi,
subito ricaduti.

Nel nostro cuore, Amica, il vento caccia
stridi di parti dolorosi, e abissi
empiono mari dissalati e freddi.
Creature cieche, mostruose, senza gioia
nuotano al fondo in bracci di correnti.
Perduti, gli echi della vita tacciono
e un empio myste disfrena l’artificio.
In mare aperto regna una bonaccia
senza più aria, ferma e indifferente.
È morto il mondo: questa è la visione
che osservo, Amica, nei tuoi vasti occhi.

24.IV.1975

   

   

L’altalena

Si muove, Amica, l’altalena e scopre
verdi riflessi a queste foglie verdi
che io e te teniamo in seno nude,
nudi noi stessi con riflessi verdi
che ci percorrono nel ventre del diluvio.
Il nostro corpo si muove leggermente,
rabbrividisce, e un corpo solo siamo:
tutto è scordato ed oblioso è il cuore
delle tue stelle in cielo, e noi tremiamo
alla sonora notte, musica cupa.

24.IV.1975

   

   

La soglia su cui scrivevi

Tremando, Amica, assieme siamo usciti
da questa soglia su cui scrivevi Vivere,
una parola priva di pensiero,
eppure vasta quanto l’esistenza.
Chi sei, Amica? come ti conosco?
Dice qualcuno: tu stesso l’hai creata.
Eppure è viva e ha un cuore ed è una donna:
io sono donna e ho un cuore e sono vivo?

24.IV.1975

   

   

Il vaso degli stupori

Gli uomini fissavano in silenzio le sfere celesti
e pregavano l’inesauribile vaso degli stupori
di tornare a mondi più remoti e circoscritti.
Mai grandezza si fece piccina altrettanto.
Alcuni disparvero in troppo dense regioni
e fecero corpo con le stelle perdute del cielo
e vagano folli per le oscurità.

9.VI.1975

   

   

Canto amoroso oltre la notte

Rada è la notte, gli abissi sereni,
solo rimane in qualche età
che io non vedo e nessuno vede
impenetrabile oscurità.

Quel fondo nero ha gran dolore,
e strade opache, da cui rifuggo;
di là da esse, senza respiro
cerco l’essenza dai mille splendori.

Risento arie dai tempi lontani
e ripercorro i più puri ricordi:
amore e gioia van respirando,
diletto e abbraccio vanno cantando.

Tutto il tuo mondo più non ha occhi,
si è fatto larva d’immobile vita
ma tu, poeta, canta d’amore,
canta la fonte del cielo di vita.

Canta e ristora, canta la gioia
che nella notte guida la mente,
canta lo splendido rogo del cuore
dove la mente canta d’amore.

Canta il dolore che puro risplende,
canta illusioni cadute che puoi
offrire in dono, splendenti d’amore
sopra la sacra onda d’amore.

Lo sposo canta: Si canti amore,
il puro fuoco di fiamme d’amore;
vieni cantando, sposa d’amore,
città d’amore per te fonderò.
 
Fonderò acque che mai sian turbate,
fonderò venti che corrano dolci,
fonderò monti e colline selvagge,
fonderò fonti di luce perenne.
 
Fonderò cieli di terso cristallo
e penetrali segreti lucenti;
t’introdurrò alla semplicità
che più nessuno mai turberà.
 
T’introdurrò al mistero dell’aria,
a un senso vivo d’immensità:
nuda verrai nella gioia del giorno,
nuda verrai nei recessi notturni.
 
E sarai nuda nella tua mente,
nuda nel cuore, nuda nei gesti;
nuda verrai tra i profumi di selva,
correrai nuda con me per la terra.

Canta, poeta, questo mio amore,
amor lucente ti guiderà;
dopo l’amore non c’è che amore,
certo lo spirito ci sosterrà.

9.VI.1975

   

   

Canto di cose perdute

Sereno è il cielo, volgivi gli occhi,
vedi le stelle in mezzo alla luce.
Dici Non vedo eppure vedi,
com’è possibile che tu non veda?

In verità fiaccole azzurre
passano qua e là per il cielo;
non sono forse proprio le stelle
che hanno lasciato le vesti belle?

Paiono strofe per i bambini:
mai si son viste stelle azzurrine.
Ma v’ingannate: non può svanire
la stella bianca che cade dal cielo.

Lascia una traccia e in questo mattino
fa capolino, come una frase
che ancora voli nell’aria movendo
venti e parole, respiri e canzoni.

E così pure, sentite, rimane
anche la traccia dei baci donati,
anche la traccia dei chiari sorrisi,
anche la traccia di gioie e dolori.

Resta ogni cosa che noi facemmo,
resta ogni immagine che noi guardammo,
resta ogni suono che abbiamo ascoltato,
resta ogni volto che abbiamo amato.

Resta lo sguardo rivolto nel cielo,
e chi lo sa se qualcuno vedrà
questo mio sguardo rivolto lassù.

Può darsi che, per caso, al vederlo,
pensi che in fondo non serve a nulla
fare girare in tondo il mondo
con insensate parole che presto
vanno nell’aria, scritte per onta
dove nessuno le può cancellare.

Ma per trovare come si possa
fermare il libro, romper la penna
che su ci scrive, dentro una fossa
morti e sepolti esser dovremo.

E allora forse continueremo
a andar nell’aria, senza parole,
come parola già detta che più
niente può dire, niente può fare.

Gli uni con gli altri c’incontreremo
senza segreti più da celare;
saremo frasi messe a confronto
e le parole nostre saranno
senza finzioni. Tutti vedranno
quel che pensavi, quel che credevi.

Chi canterà, chi tacerà,
chi danzerà, chi morirà.
Un po’ per volta ci rivedremo
tutti negli occhi, volti che amai,
e voi vedrete dentro i miei occhi
quel lume che quaggiù ci univa,
lume qual sorso bevuto alla coppa
di vite vissute prive d’inganno,
coppa splendente di doni graditi
a chi li ottenne, a chi li diede.

19.VII.1975

   

   

Quasi da un’onda infranti

Tacerebbe il mio canto e tacerebbe
ogni canto che non canti d’amore
se ci desse il presente astri perenni
e se fossero gli occhi nostri pieni
di chiarezza e splendore.
Anche tu, Amica,
taceresti sommersa dalla vita.
In questi luoghi
dove viviamo a lungo senza trarne
alcun piacere mai perché ci siamo
dimenticati ormai di dover vivere,
pure ancora sentiamo qualche volta
sopraffarci speranze, come barche
disancorate al largo, sotto i venti.
E vorremmo cantare alla paura
per coronarci un giorno di coraggio.
O in quelle ore quando di lontano,
come poeti di passati tempi,
nelle stelle che affondano infinite
dentro l’oceano enorme, ondoso, cupo,
contempliamo noi stessi, allora siamo,
per un’eternità di anni, vivi, e tu non sai,
Amica, Amica mia, se cesserà
la tua ferocia dolcissima.
E abbrancati
come la lupa ai lupi noi restiamo,
taciti, folli, goffi, nel presente abisso
dove schiantati dormono i tempi,
e siamo vivi,
quasi da un’onda infranti e riportati
dentro la viva notte eternamente.

19.VII.1975

   

   

Contrasti

I.

Cento immagini che voi non vedrete:
le ho nascoste in un sole.
 

II.

Voi non siete per me né io per voi:
ad ognuno il suo fango e la sua luce.
 

III.

Chi cercate qua in fondo a questo mondo?
Non cercate nessuno, né sperate.
 

IV.

Chi di voi teme il nuovo si sgomenti:
io gli addosso un pastrano in piena estate.
 

V.

Un che domina il mondo si conturba
perché il magico flauto non gli suona.

30.VII.1975

   

   

Le porte dei mari

Centinaia di mari spalancano le porte degli abissi
perché vi entriamo:
essi si chiuderanno velandoci sopra il capo le stelle
di spessa coltre,
e saremo radicati nudi dentro la nudità,
e sopravverrà l’oscurità con i fantasmi della mente.
Ed io dissolverò in mille vortici le immagini.
Sul fondo del mare lente danze condurremo;
arie senza nascita, senza esito, ci pervaderanno,
aliteranno i piaceri intorno a noi e le chimere
seducendoci cadranno nei nostri amplessi.
Sentiremo il loro caldo cuore e le pervaderemo completamente
ed assolutamente nostre esse ci abbracceranno.
Piangendo di gioia, di voluttuoso dolore,
ammalianti, vive, compiranno il bacio,
il bacio di noi nati alla vita consci di sapere vivere.
E solo cadendo in esso eternamente baciati dall’adolescenza
nasceremo. E nasceremo come nell’abbandono,
animali abbandonati dalle madri
e subito colti come fiori vivi dal bacio intenso dell’onda.
E io ti condurrò verso la solitudine più lontana,
e scoprirò in te dolcezze di umido amore,
e vivacità, e rigoglio di splendore,
e saliremo in braccio l’uno all’altra
avviluppati dal sonno della dimenticanza,
stretti in baci e amplessi che reggono al mare.
E trasalendo la superficie del mare si spalancherà per noi,
dagli scogli emergendo, rinati dall’oblio,
fiori pietrificati nella forza di vivere,
anime senz’autunni.
E gli occhi, gli occhi vivi immutabili fissi volgeremo al cielo,
e nati da onda abbracciati, abbracciati ci ergeremo nel nulla.
Trasaliti per lontane aurore splenderemo rinati.

30.VII.1975

   

   

L’effigie

L’effigie tua
su un ramo è posta
di là dalla sera. Fanno
le folle del tramonto danzare
la rotante sfera del cosmo,
e rosse terre ci attorniano.

Cogli, anima amata,
i frutti di quest’albero
e questa luce che ti penetra il cuore.

6.IX.1995

   

   

La follia splendida

In cuore e in mente la follia splendida
affonda acute spade,
e distrutta tace la ragione,
per troppa vita straniera a se stessa,
e parola non nasce, pensiero non è che non ne cada,
in fondo al precipizio, silente, la morte.
E taccio, come acqua in largo mare tace.

6.IX.1975

   

   

La sponda

Sponda di mare persa
sotto la negazione notturna senza luna
si effonde nell’infinito fine sino al cuore
e senza te, luce perduta, non si può posare
e dispare, presso le bianche
figlie del mare.

6.IX.1975

   

   

L’età più sincera

I mai vissuti giorni io cercavo,
circonfusi dei sogni della mente,
dove un’aura di dolce conoscenza
coronasse il sorriso, in un’età
più sincera di questa. E non esiste
però una voce che ne dia il segreto.

6.IX.1975 

   

   

   

Il segreto cristallo

Della luce io cerco il raggio puro
e la trama del velo onde si scorga
il segreto cristallo della vita.
E non voglio sapere come in volo
ci si possa innalzare ma, volando
come alato il pensiero in mezzo al cielo
senza fine s’addentra, irraggiungibile
e invisibile stare e, nel silenzio,
d’ogni sponda del mare universale
trarre cantando una semplice lode
per la beltà del giorno adolescente,
seminandone i sogni e le speranze
dentro le onde folli delle nubi.

6.IX.1975

   

   

L’arcano mondo

L’arcano mondo mi si è svelato
ed ha il destino dimostrato il sogno
e la ragione ha rivelato il Nome
cui corrisponde tra noi fatti stelle
la verità.

14.IX.1975

   

   

Come su riva il fiume

La verità è una spada e vi s’infrange
come su riva il fiume
ogni parola.

14.IX.1975

   

   

Il centro

Il centro infinitesimo del tutto
vado cantando. In quel punto invisibile
senza indugio né attesa mi dissolvo.

14.IX.1975

   

   

Come attore la scena

Quante volte vorrei rappresentare,
come attore la scena, il mio morire.
Figurare il respiro della fuga
come ponte amoroso verso il cielo.

14.IX.1975

   

   

Spira da lungi

Spira da lungi e avvolge il mio pensiero
vento che mai potrà fare ritorno.

14.IX.1975

   

   

Spina amorosa

Spina amorosa, spina di dolore,
fatta parola è la stilla che rubasti
sotto la luce chiara della luna
a me che, attratto, più non ricordavo
d’avere sangue e, tutto fatto luce,
desideroso d’amore ti baciavo.
Ma tu spiccavi dalle labbra ansiose
il nero filtro d’un’attesa vana,
e penetrava goccia a goccia in cuore
solo amarezza, invece della rosa.
E mi volgevo tra le strane stelle,
unico regno dell’oblio del cuore,
queste mie stelle che nessuna spina
mai potrà svellere dal cielo del mio canto.

14.IX.1975

   

   

Cosa racconti?

Cosa racconti, straniero viandante?
Vi narrerò delle armonie di stelle.

Cosa pretendi, straniero viandante?
Un’arpa muta per cantare al cielo.

E cosa cerchi, straniero viandante?
Cerco l’estate nell’oblio sereno.

14.IX.1975

   

   

Ballata del santo folle

Giù dal monte cala il pazzo,
cala il santo, lo straniero,
cala il vecchio vagabondo
senza mondo ove sostare,
cala l’uomo smemorato
che ha scordato le parole,
cala l’uomo che ha lasciato
l’intelletto, ogni sua scienza.
Egli è stanco d’ascoltare,
e lo stanca ogni tragedia;
nel suo cuore solitario
trova in sé solo commedia.
E non cerca più attenzione,
non ha fiato per parlare,
come un vecchio pazzo strano
che si secca a ragionare,
ed allora cala a valle,
chiama a sé chi ci vuol stare,
e chi vuole può seguirlo
fuor di templi, di promesse,
fuor di luci e di ragioni,
fuor del tempo, della vita,
lungo strada senza fine,
lungo via senza percorso,
lungo un orizzonte vano
senza veri né certezze.
Chi lo vuole può seguirlo
per sentirne le parole,
come muto ascoltatore
che s’illumina al tacere,
non per valli buie e tristi,
non per aspri rischi grevi,
non per mari ed uragani,
non per some troppo dure;
per il canto della vita,
l’armonia della speranza,
per la forza della gioia
che pervade il nostro cuore,
senza veli di sapienza,
senza inviti a chi non vuole,
con il passo antico e grave
d’un cammino aperto al cielo.

Cala il santo, cala il pazzo,
e non tendono le mani,
se ne vanno camminando
mentre un centro van fissando,
se ne vanno nel silenzio
con parole di silenzio,
stanchi d’essere padroni,
stanchi di dover contare.
E proseguono il cammino
finché restano vicini
solamente alla speranza,
per danzare e per cantare,
trascinare ed assetare
con un sogno di follia
la ragione intorpidita,
l’assonnata libertà.
E non stentano a parlare,
e non hanno più stanchezza,
ma guardando il centro buio
sono fiumi di speranza
da cui gettano correnti
a fluire tra le stelle,
tramutando in canto lieve
l’orizzonte tutto quanto.

Altri guarda e pensa Come?
poi si volta e va lontano,
ed il pazzo va impazzendo,
moribondo va morendo,
cantatore va cantando,
libertà va liberando,
e il suo cuore è solitario,
solitario e accompagnato,
ed il pazzo innamorato
va la vita sua laudando.
E lo guardano chiedendo
a se stessi il suo segreto,
se sia amore o sia dolore,
se sia Dio o sia pazzia,
se sia vento o sia ristagno,
se timore o se coraggio.
Egli canta e in volto ride,
ride pazzo di speranza.
Vi è chi guarda e se ne scorda,
scorda pure l’esistenza,
ma lui va senza guardare,
solo attento al suo cantare.
Come mai corre e non cade?
chiede chi sa ragionare,
ma va il pazzo giù dal monte
senza luce, senza guida,
va ridendo da burlone
al vedere lo stupore.
Ora in verità vi prego
che vogliate andar lontano,
o la santa sua follia
brucerà la verità.
Con le mani inette e folli
ne farà manto di ballo,
e si sperderà ai lampioni
d’una sagra paesana.

Cala il pazzo, lo straniero
a città chiuse in oblio,
cala e vede negli abissi,
dentro il fondo delle valli.
Parla ai bimbi che han creato
mille immagini di vita,
parla a chi poi s’è distrutto
coi suoi sogni di bambino.
Va porgendo la sua mano
come appoggio per la danza,
va guidandovi al gran ballo
dove invita tutti quanti.
Denudando la sua mente,
il suo cuore solitario,
alza il calice ricolmo
dell’inebriata vita.
Poi al ballo dà il segnale
e vi lascia per danzare,
e abbandona ogni paese,
esce fuor d’ogni cammino,
e s’immerge dentro il blu,
dentro un vortice di stella.

Fuor di canto va cantando,
fuor di luce va guidando,
e il ricordo s’incatena,
il presente si rischiara:
al di là di oggi e ieri,
di domani e eternità,
resta un canto di straniero
sconosciuto e puro, e invano
corre per il mondo intero
amoroso folle e strano.

21.IX.1975

   

   

La giovinezza

O Pantareo, elfo tuttofare,
e tu, Tempo sua ombra, sua maschera,
per un istante fermatevi.
Incontra un bell’adolescente la taciturna Ebe,
lo bacia, lo cosparge di fiori,
lo ammanta di languore,
e si dona innocente,
oltre il velo del tempo trascinando l’estate.

Aquila del giorno cadi!
La notte dissolve i criteri della mente
e nel ricordo la giovinezza assalta l’eternità.

O silenziosa chiarità delle stelle!
L’azzurro cielo è negli occhi di Ebe,
le sue linee di vita procedono
verso il mistero d’unione.
Tutto il giorno produce il cosmo zampilli di luce
mentre Ebe notturna sorride
sopra il corpo del giovane reclina.

O speranza danzatrice dei tempi ricolmi,
candida mano che dolce si posa
sopra i miei occhi!
Di là dal mondo e dalla nostra estate
si mostra infine il segreto della vita:
dentro i fuochi è frescura,
l’immobile è nei venti.

Quando scioglie la Cosa i suoi folli veli
e la Rosa cade in terra svelata
di là dal mondo, di là dall’estate,
Ebe regina di solitudine obliosa
rinnova, distrugge, guarisce,
e nel freddo tuo cuore
porta un bacio dell’immenso fuoco.

E la Cosa svelata sei tu, satiro,
ridente innamorato della morte,
abitatore folle della mente.

E ridi, giovane antico, questo è per te solo, ridi.
Quando il Tempo fa sfiorire la serra
e i fiori più non volgono corolle promettitrici,
il bulbo del ricordo fiorisce fiori dorati
e vola l’Aquila del giorno
sopra le scure nubi della terra.

29.IX.1975

   

   

Né dolore né gioia

Sento il dolore del cosmo avvicendarsi
alla gioia, e non son nulla
né dolore né gioia, solo vento
dagli imprecisi affetti trasportato,
come chimera in un sogno che, inseguita,
sempre invano ti fa cenno d’amore.
Così il preciso senso della morte
altro non è che vita troppo amata
da noi che mal viviamo nell’abisso
di magiche illusioni costruito,
volgendo gli occhi ormai senza vedere.

3.X.1975

   

   

Toglier se stessi dalle usate sfere

Se io guardo una cosa attentamente,
non so dire se sia vento o materia,
o non sia la materia un vento fisso,
o il vento stesso mobile materia,
perché ogni cosa innanzi mi si scioglie
nella luce del cuore, ben diversa
che non questa rifratta dai miei occhi.
Ma i miei occhi non sanno, per paura,
toglier se stessi dalle usate sfere.

3.X.1975

   

   

Le sfere

Nelle sfere del tempo ho rigirato
dal basso in alto la sfera del mio spirito,
finché l’ho posta tra le sfere d’oro
dove tacito il tempo si discioglie.
Nelle sfere del vento ho poi lasciato
il mio corpo mortale a riposare;
ve l’ho lasciato ch’era molto stanco,
perché in silenzio riapprenda a vedere.

3.X.1975

   

   

Visione

V’erano Esseri forse che guardavano
quand’io ricaddi dal vertice del Nulla.
Senza ricordi ricadevo in grembo
al Tempo che fluiva come un mare.
La Luna rivolgeva strani aloni
che coprivano il Simbolo del Cielo.
Il dolore, la gioia e la suprema
corteccia indifferente erano lì,
come il Viso del Cosmo privo d’Occhi
ed il suo canto tutto chiuso in Stelle.

8.XI.1975

   

   

La Madre del Cuore

Quando mi siedo sul confine oscuro,
bello è il vortice d’acqua nella mente,
e le mani del Tempo carezzevoli
danno vita al pensiero, perché anche
sta la Madre del Cuore ignobilmente
incatenata al fondo del ricordo,
e io sto come il fuoco nella brace,
che non si leva e mai non si dà pace.

21.XI.1975

   

   

Se dagli antri segreti

Se dagli antri segreti una parola
traggo alla luce dell’umana voce,
in fondo in fondo l’un l’altro si divorano,
come serpenti squallidi, i pensieri.

21.XI.1975

   

   

Il ritorno di Ulisse

Disviluppa la tela per Ulisse,
o Penelope, e donagli il tuo pianto.
Poi avvolgilo come fosse un bimbo
dentro l’ali del sonno. Non gli chiedere com’è stato il suo viaggio. Ora riposa.
Questo giorno va e passa senza tempo,
tutto corre al domani come in sogno.

21.XI.1975

   

   

L’aurora, inseguendo il crepuscolo, 
suo irraggiungibile sposo, dà luogo al mondo

Rosa del cielo, aurora che distendi
le tue ali di vento e di ricordi,
confondimento magico del buio
e della luce che ricopri i sensi
delle visioni di confine acerbe,
cerchi sui monti quel tuo sposo antico,
cerchi il crepuscolo, sorvoli la marina
dove si perde il gorgo della mente.

Vieni da me sulle tue lente ali,
vieni da me, afflitta innamorata
che mai non sai congiungere il tuo volto
al volto e al raggio dello sposo tuo.

Rosso era il cielo e già si è fatto scuro,
come la notte avanza il giorno scende,
scende dal carro della vita e muore,
muore da sempre e sempre ha da tornare,
ed il crepuscolo dispiega le sue ali
simili a quelle dell’aurora, e il sogno,
fatto silenzio, illumina la terra.

24.XII.1975

   

   

Come in un magico archetipo di tempo

Tutte le cose vanno risonando:
come in un magico archetipo di tempo
mille presenti invera la speranza.

Corre all’oceano eterno ogni pensiero:
si è fatto volto ogni formato auspicio,
e in mille bocche ride la mia vita.

24.XII.1975

   

   

In aspra fuga

Io ti dico che il mare
sono i tuoi occhi, amore,
amore mio sconosciuto,
amore delle passate esistenze
le cui esperienze oggi in me si ripercuotono,
amore del tempo felice che non fu mai,
donna del cielo quale crea la mente
da fantasia possente e da dolore.
Hai occhi ove si bagnano le sirene arcaiche,
bocca odorosa di tutte le umane illusioni,
mente che domina la vita medesima.
Tale è la grandezza del mio ricordo
che mi fa parlare
di ciò che s’involava crudelmente,
contro di me nella mia lunga attesa,
in aspra fuga.

24.XII.1975

   

   

Le due porte

Malinconica porta di dolore,
creatura di sogno eppure quanto,
ah quanto difficile a scordare!
Prestano in molti ascolto alle sirene:
con parole di vento, sabbia ed acqua
nel cuore erigono palazzi di fanciullo.
Non han trovato la porta del reale,
e come per essi non piangere o, se no,
non dirci noi medesimi insensati?

24.XII.1975

   

   

Come il frutto più vero

Se talvolta mi portano il dolore
come il frutto più vero, per offrirmi
come un simbolo proprio del pensiero,
o se anche disperata gente
ciecamente si mostra il suo soffrire,
come potrei se non essendo pietra
non trovare io stesso il mio dolore,
la perduta illusione che ritorni?

24.XII.1975

   

   

L’ultima canzone

Canta, anima mia, l’ultima canzone
e non sostare, oh no, non sostare.
Se tu ti fermi, il vento
correrà tra le cime del ricordo,
scompiglierà le fronde del passato;
il futuro si coprirà d’incertezza,
alberi caduti riempiranno le vallate,
i bambini piangeranno nella casa del mondo,
tutti gli uomini inutilmente alzeranno lamenti.

Non sostare, o canto dorato dell’anima mia,
oh canto! 
Il cuore scoppia se non ha canzoni,
come l’arida zolla si disquarcia
così io pure mi diromperò,
piangeranno i miei rami disseccati
e nell’arnia del tempo, desolata,
non potrò più trovare alcuna vita.

30.XII.1975

   

   

La lepre

E come apparve la lepre fuggente
dietro le volò il pensiero.
La circondò di pensosa tenerezza,
coprì la sua corsa con baci di dissolvenza.
La realtà fu presa nei vortici di un sogno
e un cerchio celeste si mostrò la fuga.

15.I.1976

   

   

Dalle sponde lontane

I.

Dalle sponde dei popoli dei misteri
su nave veloce
l’anfora della conoscenza a noi perverrà
e a piene mani ne verserà
su noi la sorte
fiumi veloci.
 

II.

Allora il tempo cesserà d’esistere,
l’eternità cesserà d’esistere,
le cose grandi e le cose piccole
cesseranno d’esistere
e in noi, noi soli,
sarà l’arcaico seme del vento.
 

III.

E poi poseremo le mani sugli occhi
e le lacrime nostre sgorgheranno nel buio
e lucenti balsami di dolcezza
involgeranno il nostro corpo
dentro la morbida infinità dell’amore.
 

IV.

Taceranno infine i versi degli uccelli,
nel cielo si farà muto il sospiro delle lontananze
e a noi dinanzi per sempre nel crepuscolo
palle di fuoco e canti senza forma
instaureranno in noi ricolmi amori.

15.I.1976

   

   

Esser vivi

- Esser vivi non è cosa da nulla:
anni ed anni si sta senza riposo.
Dai meandri terrestri sale un grido:
preferiamo evitare di capire.

Ogni cosa nel mondo è come il giorno:
fa il suo corso e va via senza ritorno.
Solo l’uomo alla fine per noi resta:
è un dolore che sale e non ci basta.
  
Cosa che l’uomo un giorno ha creduta
presto in un vuoto profondo è caduta.
Cosa rimane di questa illusione?
Un’infinita fame, la disperazione.

Tutte le terre nel mare son fluite,
tutte le acque nel cielo son salite.
Ruota in eterno il cosmo ruota nera:
scende all’Averno il giorno, poi la sera.
Come non ruoteremmo noi, uomini oscuri?
In questa fredda notte come non scenderemmo?
  
Attendi, fratello, l’amore è pur bello:
come non credere? come non sperare?
Tutte le cose hanno un riscatto:
anche per questa vita avrà valore il patto.
Vivere per nulla come può esser vero?
Il bimbo nella culla chi mai lo ingannerà?
Che demonio brutale tale potere avrebbe
che il dolore col male a niente porterebbe?
Quale sirena abnorme griderebbe nei venti
ché la speranza enorme deludano gli eventi?
Anche tristi cerchiamo di trovare la gioia:
di quest’arte non può esser fine la noia.

Cosa dunque, poeta, vai cercando nel tempo?
Se la certezza dura, perché tanta paura?
  
In questa stessa vita mi pare a momenti
potere anticipare la fine dei tormenti.
Non è dunque paura ma, nell’oscurità,
voglia di ritrovare all’uomo la verità.

21.I.1976

   

   

Oggi

Oggi è scesa dai monti la coscienza.
S’aggira qua intorno,
si volge verso gli angoli bui
e tace.
E poi trae dal cielo incantesimi
e si sfanno,
lievi nel nulla,
rimorsi e parole.

Ecco, un unico grande ignorante
diede vita alle opposte fazioni;
e non dura sopra la terra un uomo che parli,
se è uomo.
Solo il fantasma, la memoria di un sonnambulo
apre la bocca,
e se ne cavano
parole a iosa.

E s’addice,
bene s’addice ai morti esser sepolti;
e così stanno i lumi umani avvolti
in spessi veli di nebbie
e di timori.

23.I.1976

   

   

Quasi un’arcuata chimera

Dissolti in nulla
se ne stanno i tuoi libri,
e non hai voce
che questa sola che ti sta nel petto
pronta per nascere,
non ancora nata.
Quasi un’arcuata chimera
su te incombe,
e tu sprofondi dentro il vorticoso
fiume nascente.

Mani femminee afferrano il tuo corpo
e lo depongono su rive ove si chinano
sirene dallo sguardo gentile
e tu le guardi coi tuoi occhi distesi,
come un bimbo,
mentre trascorre di là dalla memoria
verso lontane terre
il fiume che ti attrasse.

23.I.1976

   

   

A ogni richiamo

A ogni idea do volentieri asilo;
a me chi darà asilo?

A ogni richiamo do volentieri ascolto;
a me chi darà ascolto?

Da che nacqui, il ricordo
non mi porta compagni;
solo stelle di sogno
che la corsa del mondo ha infranto.

25.I.1976

 

    

   

 

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