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IL TALMUD

nella «Storia Universale» di Cesare Cantù

   

[tratto da: Documenti alla Storia Universale – Sulle Religioni, Pomba, Torino, 3a ed., 1841, n. VI: Il Talmùd, pp. 481-504, confrontato e corretto su: Documenti alla Storia Universale – Sulla Filosofia, L'Unione Tipografico-Editrice, Torino, 8a ed., 1856, n. VI, § 3, pp. 466-478].

   

Revisione, note e bibliografia di Dario Chioli

1a ed.: aprile 2006 – 2a ed.: novembre 2006

   

Ho riprodotto il testo originale integralmente, salvo alcune correzioni ed alcuni aggiornamenti stilistici e grafici che dovrebbero rendere il testo più scorrevole e comprensibile. Ho inoltre rivisto completamente la trascrizione dei termini ebraici. Mie sono le aggiunte in violetto, in nota e tra parentesi quadre, nonché la bibliografia.

D. Ch.

   

Nota sulla trascrizione dei termini e nomi ebraici
La trascrizione è fonetica. Dove sono riportate le lettere componenti, esse sono così trascritte:
'[alef] - B[eth] - G[imel] - D[aleth] - H[eh] - W[aw] - Z[ayin] - Ch[eth] - Teth - Y[od] - K[af] - L[amed] - M[em] - N[un] - S[amekh] - `[ayin] - P[eh] - Tz[ade] - Q[of] - R[esh] - Sh[in] o Sin - T[aw].
Le lettere B-W-Y-K-P-T possono esprimere anche, rispettivamente, i suoni:  V - U/O - I/ E - KH - F - TH.
 '[alef]  è una gutturale simile allo iato (se una parola inizia per vocale senza altri segni davanti, è sottinteso che davanti c'è 'alef); spesso fa da supporto vocalico, più sovente per A ed E. G[imel] è sempre G dura. H[eh] è sempre aspirata salvo nelle desinenze femminili in "ah" quando è muta. Z[ayin] è la S di "rosa". Ch[eth] è simile alla CH tedesca. Teth è T cacuminale. S[amekh] è la S di "sale". `[ayin] è una gutturale difficile da pronunciare per gli europei, molto di gola. Q[of] si pronuncia come una K più intensa.
Le consonanti raddoppiate corrispondono ad una lettera con il dagesh forte (un punto dentro la lettera).

   


Cesare Cantù,  nato a Brivio (Como) il 5 dicembre 1804 e morto a Milano l'11 marzo 1895, fu storico insigne e autore di centinaia di opere, tra cui spicca la Storia Universale, primo esempio, imperfetto ma poderoso,  di opera di tal genere, la cui terza edizione (1840-1847) contava 20 volumi di Racconto, 12 di Documenti e 1 di Indici. Fu patriota ed antiaustriaco e per questo patì il carcere dal novembre del 1833 all'ottobre del 1834.  Neoguelfo, fu dopo il 1848 decisamente antiliberale e filoecclesiastico. Nominato sovrintendente dell'Archivio di Stato milanese, poté così proseguire le sue ricerche storiche. Fu il primo presidente della Società Storica Lombarda, nata nel 1874, e fondò l'Archivio Storico lombardo.

Su SuperZeko, tratti dalla Storia Universale, si trovano: Georg Friedrich Creuzer, Dottrina neoplatonica sui dèmoniJacques Matter, FiloneLa Cabala  – Il TalmudRâjâ Râmmohan Rây Bahâdur, Dell'Unità di Dio tra gli Indiani.

In Internet di suo si trovano: su http://www.liberliber.it/biblioteca/c/cantu/ Il sacro Macello di Valtellina. Episodio della riforma religiosa in Italia. Le guerre religiose del 1620 tra Cattolici e Protestanti, tra Lombardia e Grigioni (1832, ried. da Alpinia nel 1999); Margherita Pusterla: racconto storico (1838, ried. da Rizzoli nel 1965); Gli Eretici d'Italia. Discorsi storici in tre volumi (1866); all'indirizzo http://www.classicitaliani.it/index195.htm La Lombardia nel secolo XVII. Ragionamenti (1854, rielaborazione di un'opera dapprima uscita col titolo Sulla Storia Lombarda del Secolo XVII. Ragionamenti di Cesare Cantù per Commento ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Milano, 1832, altra edizione della quale fu fatta nel 1842). Su http://books.google.com: il già citato Sulla storia lombarda del secolo XVII, 5a ed., Lugano, 1833; L'abate Parini e la Lombardia nel secolo passato: studj, Milano, 1854; la Storia degli italiani in sei volumi, Torino, 1855-1856 e Napoli, 1857-1858; Scorsa di un lombardo negli archivj di Venezia, Milano e Verona, 1856; Beccaria e il diritto penale: saggio, Firenze, 1862; la Storia di cento anni (1750-1850) in diverse edizioni, la quarta di quattro volumi, Torino, 1863; Gli Eretici d'Italia. Discorsi storici in tre volumi, Torino, 1866; Poesie, Firenze, 1870; ma molto altro se ne va col tempo pubblicando tanto qui che su http://www.archive.org.

Alcune citazioni sono poi riportate da Wikiquote all'indirizzo http://it.wikiquote.org/wiki/Cesare_Cantù.  Un' interessante nota di Giuseppe De Marco ispirata alla Storia Universale è all'indirizzo http://digilander.libero.it/roccadicanne/index_file/la_ricerca/La_data_battaglia_canne.htm. All'indirizzo http://www.cronologia.it/storia/a1856.htm si dà conto dell'avversione del Cantù alla guerra di Crimea. Su http://books.google.com, poi, si trovano parecchie opere che si riferiscono al Cantù.

Una buona documentazione, e soprattutto un'ottima bibliografia a cura di Sabrina Mesiano, si trovano all'indirizzo http://www.cesarecantu.it/.

Su http://www.storiadimilano.it/cron/dal1871al1880.htm si cita Il portafoglio di un operaio (1871, riedito da Bompiani, Milano, 1984), «primo romanzo italiano che ha come protagonista un immigrato meridionale che arriva al Nord per lavorare nell'industria». Marna nel 1996 ha riedito La Madonna d'Imbevera. Racconto, uscita a Milano «per Gaspare Truffi e Socj» nel 1835. Sardini Editrice di Brescia (http://www.sardini.it/Sardini_Editrice/Catalogo/037.html) ripropone parecchi contributi tratti dalla Grande illustrazione del lombardo-veneto, ossia storia della città, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni per cura di letterati italiani, compilata da L. Gualtieri, conte di Brenna e diretta da C. Cantù (6 voll, 1857-1861), dei quali presenta quali opere scritte direttamente dal Cantù (da solo o con altri) in particolare la Storia di Como e sua provincia, la Storia di Milano e sua provincia, la Storia di Sondrio e la Valtellina e la Storia di Varese e sua provincia. Gli editori Pifferi, Atesa, Iuculano, Nodolibri hanno ristampato varie altre opere di cultura lombarda, mentre Ricciardi ha pubblicato nel 1969 un Racconto autobiografico che non capisco bene che opera sia, perché nella bibliografia di Sabrina Mesiano con questo titolo non c'è. 


 

Assai tempo dopo distrutti il tempio e la città loro, [*]  gli Ebrei sperarono l'apparizione del Messia sotto la sola forma onde volevano riconoscerlo, come liberator temporale, come re di vittoria e di vendetta; né dubitavano che ciò dovesse succeder in quel torno, confortando la credenza loro colle profezie che da poi seppero interpretare tutt'altrimenti. Avendo rigettato quello, in cui erano riuniti i caratteri del vero Messia, [**] ma che mancava dell'attributo che il pregiudizio nazionale poneva sopra tutti, furono costretti a cercarne un altro; e Barcoceba (figlio della stella) [***] parve dapprima soddisfare tutti i loro voti. Ne esagerarono le vittorie; s'attaccarono a lui con una ostinazione che partorì atti di coraggio degni di causa più fortunata; lo proclamarono l'astro di Giacobbe, lo scettro d'Israele, destinato a compiere la forzata predizione di Balaam, spezzar le corna di Moab, distruggere i figlioli di Set. La spada de' Romani sventò rapidamente queste visioni, ed Adriano provò ai Giudei, con leggi oppressive e peggiori castighi, come non voleva alcun Messia temporale ne' suoi domini. Rotti, mandati a fil di spada e di vergogna, li esiliò dalla Giudea, li perseguitò in ogni dove, ed insultò alla loro religione sollevando altari e divinità pagane là appunto, ove già era stata la Shekhinàh. [****] Così quell'Adriano, che le storie romane presentano come un misto di dolcezza e di severità (severus, mitis, saevus, clemens), negli annali giudaici è un mostro senza virtù, il dèmone della crudeltà umanato.

[*] Gerusalemme fu presa e saccheggiata dall'esercito di Tito nel 70 d. C. Il Tempio fu distrutto e al suo posto ne fu eretto un altro in onore di Giove Capitolino.

[**] Qui ovviamente il Cantù si riferisce, da un punto di vista cristiano, a Gesù Cristo.

[***] Simone chiamato Bar Kokhevàh, cioè figlio della stella, ovvero Bar Kozevà', cioè figlio di Kozevà' oppure figlio del mentitore, dal 132 al 135 sollevò contro i romani gli ebrei, che lo credettero il Messia finché non li portò al disastro.

[****] Shekhinàh  [ShKNH] è la "presenza" di Dio, e qui, in particolare, quella nel Tempio.

Questa persecuzione d'Adriano pare abbia distrutte o sospese le scuole ebraiche, perpetuate fin dai giorni di Esdra. `Aqivàh, il più dotto fra i rabbini e presidente a queste scuole, adoprò se altri mai nella folle rivolta di Barcoceba, benché contasse allora, a quanto dicono, centovent'anni. [*] Pubblicamente egli bandì l'impostore per Messia, e gli fece servigi da scudiere; finché caduto prigione, fu mandato a morte fra orribili tormenti, i quali ei sostenne con invitto coraggio, mostrandosi così attento alle cerimonie di sua religione, che ripeté l'ultima preghiera, secondo i riti stabiliti, sotto il coltello de' carnefici; ed i suoi biografi notarono la parola, ove la morte gliela interruppe. Pochi martiri sono dai loro concittadini riveriti quanto `Aqivàh: i rabbini ne esaltano lo sterminato sapere, come possedesse settanta lingue; fanno ascendere la sua genealogia fino a Sisara generale cananeo del re Jabin;  [**]  e lo dicono sposato alla vedova d'un generale romano. Gli aneddoti di sua vita empirebbero un grosso volume; ed assai tempo dopo la sua morte se ne additava ancora con dolore la tomba presso il lago di Tiberiade, ove fu sepolto con ai piedi ventiquattromila discepoli suoi! Morì il 135 di Cristo: e «alla morte del rabbino `Aqivàh – dice la Mishnàh – perì la gloria della legge». Il coraggio, la dottrina, l'entusiasmo di patria han fatto perdonargli l'aver riconosciuto un falso messia; e, vedi stranianza, su questo errore appunto si fonda Maimonide [***] per provare che il Messia non è per anco venuto.

[*] Morì nel 135. Lo si dice in genere nato nel 50.

[**] Cfr. Giudici, 4, 2.

[***] Mosè Maimonide (1138-1204), detto Rambam (acronimo di R[abbì] M[oshèh] b[en] M[aymòn]) è l'autore della Guida dei perplessi, che «è generalmente considerata l'opera più significativa, più fortunata e più celebre della filosofia ebraica medievale» (cit. dall'introduzione a: Maimonide, La guida dei perplessi, a cura di Mauro Zonta, UTET, Torino, 2003).

I rabbini notarono che, il dì stesso della morte di `Aqivàh, sommo ed ultimo fra i dottori della legge orale, venne al mondo il rabbino Giuda, le cui opere dovevano riempiere il vuoto da essi dottori lasciato. Lo chiamano ora ha-Nasì' , cioè principe, pel grado letterario o politico tenuto fra' suoi concittadini; ora ha-Qadòsh, cioè santo per la santità di sua vita, di cui bizzarri accidenti si raccontano. Fioriva egli regnanti Antonino Pio, Marc'Aurelio e Comodo, presso cui, aggiungono essi, salì in gran favore. [*] Esitiamo però a credere quanto leggesi nello `En-Yisra'él, [**] che il primo di questi imperatori siasi fatto da lui circoncidere. «Giuda – dice Maimonide – vedendo scemare il numero de' suoi discepoli, crescere le difficoltà ed i pericoli, stendersi sul mondo il regno di Satana (Maimonide allude ai progressi che faceva il cristianesimo) mentre il popolo d'Israele era confinato agli estremi della terra, radunò le tradizioni opportune ad essere diffuse perché non cadessero in oblio». È ben chiaro che a compilar la sua raccolta fu indotto Giuda dallo stato miserabile in cui scorse la causa israelitica. Roma imperiale placidamente regnava su tutte le sue conquiste; e se Giuda viveva in Corte degl'imperatori, agevolmente ebbe a convincersi che solo un miracolo poteva crollarne la possanza. Onde prevedendo un' indefinita prolungazione della schiavitù del popolo ebreo, pensò a conservare quelle tradizioni che questo popolo venerava non meno della Bibbia, e che sarebbero alfine andate perdute quando fossero state abbandonate alla tradizione orale dei dispersi dottori d'una razza proscritta. Non era più tempo di ricordare quel gran precetto: «Non lasciate che le cose apprese dalla viva voce siano affidate alla scrittura»; poiché meglio è perdere un membro che tutto il corpo. Giuda giustificossi con quel passo del salmo 119: «Nel tempo d'operar per Dio si rompono tutte le leggi»; [***] e consacrò molt'anni a raccorre i materiali di sì gran lavoro, dirigendosi a tutti i rabbini sparpagliati della nazione, e lo pubblicò nel 190 di Cristo nato, undecimo del regno di Comodo. Lo chiamò Mishnàh [MShNH] che vuol dire seconda legge; i Greci l'appellavano deuterosis, come se la Mishnàh fosse alla Bibbia quel che è il Deuteronomio agli altri libri del Pentateuco.

[*] Yehudàh ha-Nasì, detto anche Ribbì («mio maestro», nacque nel 135 e visse tra il secondo e il terzo secolo. 

[**] Opera nota anche con il titolo `En-Ya`aqòv, fu composta dal talmudista spagnolo Ya`aqòv ben Shelomòh ibn Chavìv (1460-1516).

[***] Non trovo la fonte di questa citazione. Nulla del genere è nel salmo 119, a meno che non si tratti di un'interpretazione alternativa di qualche versetto.

In un attimo fu sparsa in tutte le scuole giudaiche della Palestina, di Babilonia e d'altrove, e commentata. Anzi ben presto le chiose superarono il testo, e furono dette Gemarà' [GMR'], voce che in caldeo targumico suona compimento. [*] La Mishnàh e la Gemarà' congiunti formano il Talmùd [TLMWD], che è quanto dire il dottrinale. Due Talmùd (o Gemaròth) vi sono, quel di Gerusalemme e quel di Babilonia, così designati dalle scuole che li hanno redatti: il primo venne raccolto dal rabbino Yochanàn vissuto dal 184 al 279; [**] l'altro fu cominciato dal rabbino Ashé morto nel 427,[***] e compiuto dal rabbino Yosé, settantatré anni dipoi. [****] Alcune di queste date paiono troppo antiche.

[*] Si trova anche la forma ebraica Gemaràh [GMRH].

[**] Nella pagina web http://www.chavruta.net/laprimacarta/ravyochanan.htm del sito Chavruta di Rav Mordechai Goldstein lo si dice nato nel 180 e morto nel 290 e così si parla di lui: «Tra tutte le figure degli Amoraìm brilla quella di Rabbì Yochanàn per una serie di attributi che difficilmente si trovano riuniti nella stessa persona. Egli fu famoso oltre che per la sua grandezza indiscussa nella Toràh che lo rese l'autorità massima di tutto il mondo ebraico dopo la scomparsa di Rav e Shemu'él, anche per la prestanza fisica e l'avvenenza, il carattere ardente e la longevità. Visse cento e dieci anni [...]e compilò gran parte del Talmùd Yerushalmì di cui è ritenuto il principale autore. Fu uno dei giovani discepoli di Rabbì Yehudàh ha-Nasì', attinse la Toràh dai più grandi dei suoi discepoli e formò uno stuolo innumerevole di studiosi».

[***] Nella pagina web http://www.chavruta.net/laprimacarta/ravashiravina.htm del sito Chavruta di Rav Mordechai Goldstein lo si dice nato nel 337 e morto nel 416 e così si parla di lui: «Ricchissimo e raffinatissimo, Rav Ashé raccolse attorno a sè una splendida corte non solo di grandi studiosi ma anche di membri delle più altolocate famiglie di ebrei babilonesi [...] e di importanti burocrati dell'Impero Persiano, che allora dominava su Babilonia. Grazie a questo momento di splendore, che continuò anche durante la vita di suo figlio, Mar bar Rav Ashé, che gli succedette nella carica di Rosh Yeshivàh, fu possibile adempiere al compito sovrumano dell'edizione definitiva del Talmùd Babilonese, l'oceano del sapere giudaico, in un'epoca in cui il cristianesimo faceva i suoi primi passi e quasi duecento anni prima della stesura del Corano». La datazione del Cantù corrisponde a quella di Michael L. Rodkinson che in The History of the Talmud, decimo volume di The Babylonian Talmud, 1903, 1916, 1918 (on line all'indirizzo http://www.sacred-texts.com/jud/talmud.htm) diceva Rabbì Ashé nato nel 355 e morto nel 427 (http://www.sacred-texts.com/jud/t10/ht108.htm).

[****] Rodkinson, op. cit., scrive: «Thus the Talmud was concluded in the age of Rabbana Jose (about 525), without further revision or rearranging»(http://www.sacred-texts.com/jud/t10/ht108.htm).

Il Talmùd di Babilonia è di lunga mano più famoso e compiuto, come di tre secoli posteriore all'altro. I dottori di Babilonia inoltre erano gente rinomata, e le scuole di Palestina trovavansi già in calo mentre le altre fiorirono fino al XII secolo; pure (come il De Rossi avverte nel Dizionario storico t. I. pag. 171) [*] il Talmùd di Gerusalemme merita essere stimato di più come «più esente di inezie e più utile all'illustrazione delle sacre antichità». Egualmente la pensava Prideaux. [**] Lo stile della Mishnàh è più puro, più biblico di quello della Gemarà'. Il Talmùd gerosolimitano è sovente oscuro; il babilonico pieno di parole e frasi straniere. Quello forma un volume in foglio; questo ne forma dodici.

[*] Giovanni Bernardo De Rossi (1742-1831), Dizionario storico degli autori ebrei e delle loro opere, Parma, 1802. Cito dal sito della Biblioteca Palatina di Parma (http://www.bibpal.unipr.it/index.php?it/120/collezione-de-rossi): «Nel 1816 l'Istituto si arricchisce, per atto munifico di Maria Luigia d'Austria, nuova sovrana del Ducato, della Libreria di Giovanni Bernardo De Rossi (1742-1831), professore di lingue orientali nella facoltà teologica dell'Università di Parma dal 1769 al 1821; con essa entrano in Palatina, oltre a 1464 libri a stampa, ben 1624 manoscritti, tra cui 1432 ebraici, ma anche 10 manoscritti greci, 85 latini, 31 in volgare e svariati in altre lingue».

[**] Humprey Prideaux (1648-1724), dal 1702 decano di Norwich, pubblicò a Londra nel 1715 The Old and New Testament Connected in the History of the Jews and neighboring nations, from the declension of the kingdoms of Israel and Judah to the time of Christ.

Se la legge rituale di Mosè abbonda già di cerimonie ed osservanze minuziose, col fine di rendere gli Ebrei una nazione distinta da ogni altra, non è meraviglia che le tradizioni nate fra la promulgazione della legge e la pubblicazione del Talmùd sieno più minuziose ancora nelle regole, ed applicate a numero più grande di pratiche, di cui alcune sono passabilmente frivole od anche ridicole. Ma qualunque obiezione possa farsi a questo codice rabbinico, poche opere sono sì degne dell'attenzione dell'antiquario, del filosofo, dello storico filosofo e del teologante.

È un quadro curioso della morale esistenza e dei costumi del popolo più singolare che sia mai esistito, sotto l'impulso di circostanze senza pari. Buxtorf, [*] rispettabile autorità, vede nel Talmùd un'enciclopedia bell'e intera: né opera alcuna fu tanto lodata e tanto criticata; né alcuna incontrò più censure fra i cristiani. Fin da quando apparve fu legalmente proscritto dagl'imperatori di Costantinopoli; Gregorio IX nel 1230, ed Innocenzo IV nel 1244 lo condannarono al fuoco; esempi seguiti dall'antipapa Benedetto XIII, che contro il Talmùd fulminò una bolla nel 1415, quale causa dell'accecamento de' Giudei, ed opera dei figli del diavolo. Nel 1554 Giulio III ordinò che in Italia si bruciassero tutti i Talmùd: ma pochi esemplari ne furono allora distrutti, perché gli Ebrei gli ascosero, portandoli singolarmente a Cremona, ove gran numero di loro religionari viveva. Perciò sul cominciare del 1559, Pio V mandò Sisto da Siena [**] per impadronirsene; e secondo la sua relazione, che possiamo credere esagerata, egli giunse a buttarne al fuoco dodicimila copie, formanti almeno centoquarantaquattromila volumi. Nel 1593 Clemente VIII rinnovò questa guerra al codice delle tradizioni rabbiniche, di cui confidò la ricerca agl'Inquisitori d'Italia.

[*] Johann Buxtorf (1564-1629), famoso ebraista, scrisse imponenti opere, tra cui il fondamentale  Lexicon chaldaicum, talmudicum et rabbinicum, che insieme al Thesaurus grammaticus linguae sanctae hebraeae ed alla Synagoga judaica si può scaricare dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

[**] Sisto da Siena (1520-1569), ebreo convertito, frate minorita, condannato al rogo per eresia, fu salvato dal futuro Pio V e si fece poi domenicano. Scrisse la Bibliotheca Sancta e fu colui che per primo distinse, nel canone biblico, i libri protocanonici dai deuterocanonici.

Né minori pericoli correva altrove il Talmùd. Alcuni anni prima della Riforma, Pfefferkorn, [*] ebreo convertito, denunziò all'imperatore Massimiliano libri giudaici d'ogni sorta. È nota la controversia venutane di conseguenza, e come Reuchlin [**] felicemente difese il Talmùd dalle fiamme che lo minacciavano in Germania e in Italia. Ciò volse l'attenzione dei dotti sulla letteratura degli Ebrei, e diede occasione alle Epistolae obscurorum virorum, [***]  alle quali poi tanti rubarono a man salva.

[*] Johann Pfefferkorn (n. 1469, m. tra il 1521 e il 1524), si convertì nel 1505 al cristianesimo insieme alla sua famiglia, e da allora cercò di costringere gli altri ebrei a fare altrettanto, adoperandosi tra l'altro per la distruzione del Talmùd, anche se nel frattempo li difese dalle accuse relative agli omicidi rituali e condannò le persecuzioni come ostacolo alla conversione. La Catholic Encyclopedia dice di lui: «fu un fanatico e la sua vita pubblica e letteraria fu caratterizzata da ben poca simpatia o grazia,tuttavia fu certamente un personaggio onorevole, e la caricatura che i suoi avversari ne hanno fatto è lungi dal vero» (http://www.newadvent.org/cathen/11786a.htm).

[**] Johann Reuchlin (1455-1522), umanista ed ebraista notissimo, fu il primo cristiano a pubblicare, nel 1506, una grammatica ebraica, il De rudimentis hebraicis, che si può scaricare dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/) insieme a diverse altre sue opere.

[***] Testo satirico umanistico uscito per la prima volta nel 1515, ispirato alla polemica tra Pfefferkorn e Reuchlin.

Fin dal 1290 gli Ebrei erano stati espulsi d'Inghilterra; onde pochi libri vi rimaneano da bruciare al tempo della persecuzione contro il Talmùd. A istanza di Manasse ben Israel, Cromwell permise loro di tornare; [*] e il rumore levatosene convinse che quattro secoli non aveano spento negl'Inglesi l'odio contro gli Ebrei. Cromwell fu accusato d'esser tenuto pel Messia dai figli d' Israele; e la visita che un rabbino viaggiatore fece a Cambridge col pretesto di cercare manoscritti ebraici, dicono fosse diretta realmente a far risalire la genealogia del lord protettore infino a David.

[*] Menashsheh ben Yisra'él (1604-1657), nato Manoel Dias Soeiro a Lisbona da famiglia marrana, che cioè per necessità di sopravvivenza praticava segretamente il giudaismo sotto veste cristiana, nel 1610 emigrò ad Amsterdam con moglie e figli e pubblicamente vi manifestò la sua identità ebraica. Influente scrittore, si adoperò con Cromwell per fare riammettere in Inghilterra gli ebrei che, come detto sopra, ne erano stati espulsi nel 1290.

La persecuzione del Talmùd contribuì assai a renderlo vieppiù sacro ai rabbini, i quali non v'è elogio che non gli profondano. 

La prefazione di Maimonide al Sèder Zera`ìm (prima sezione del Talmùd) così esordisce:  [*]

[*] Questo e i due successivi paragrafi non compaiono nel testo dell'ottava edizione dei documenti Sulla Filosofia. Sono ripresi dai documenti Sulla Religione della terza.

«Dovete sapere, che i precetti trasmessi da Dio a Mosè furono accompagnati da una interpretazione, avendo Iddio dato prima il testo, poi la spiegazione. Quando Mosè tornava alla sua tenda, pel primo s'abbatté in Aronne, cui ripeté il testo ed il commentario, tali quali avevali ricevuti. Quando Aronne andò a collocarsi alla destra di Mosè, entravano Eleazaro ed Itmaro suoi figli, cui Mosè ridisse quel che avea ragionato ad Aronne. Poiché Eleazaro ed Itmaro furonsi posti uno a destra uno a manca di Mosè, entrarono i settanta vecchi d'Israele che furono da Mosè istrutti al modo stesso. Tutto il popolo venne da poi cercando il Signore, e le cose stesse gli erano predicate, finché tutti le avessero intese. Mosè allora si ritirava, e Aronne ripeteva a quelli che restavano ciò che aveano già quattro volte sentito. Poi Aronne se n'andava, ed Eleazaro ed Itmaro ridicevano ai vecchi ed al popolo quel che quattro volte avevano inteso. Ritiratisi Eleazaro ed Itmaro, i vecchi ricantavano al popolo quanto avevano udito già quattro volte. Giosuè e Finea insegnarono queste cose ai loro successori, per cui la catena delle tradizioni scese non interrotta fino ai tempi di Giuda ha-Qadòsh, fenice ed ornamento principale del suo secolo, dal quale furono raccolte e scritte».

Tutti i rabbini vanno d'accordo su questo racconto, né è maraviglia se, attesa una tal origine, guardano il Talmùd con una specie d'idolatria. Quando il rabbino Eli`èzer [*] stava sul letto di morte, i discepoli suoi gli chiesero che potessero fare per conseguire la salute: Leggete le Scritture, diss'egli, ed attenetevi al Talmùd.Dio, dice un altro rabbino, legge egli stesso il Talmùd, si sottomette alle ordinazioni di quello, ed il capitolo suo prediletto è la vacca rossa. [**] Nel trattato Soferìm [***] si legge che la Bibbia è come l'acqua, la Mishnàh come il vino, e il Talmùd come il vino aromatico. Più sotto l'autore ripete la stessa idea così: La Bibbia è come il sale, la Mishnàh come il pepe, il Talmùd come i profumi. Nel trattato `Eruvìn si citano i versetti 12 e 13 del capo VII del Cantico di Salomone: Diletto mio, conduciamci nei campi, abitiamo ne' villaggi, alziamoci buon'ora per andar nelle vigne; vediamo se la vigna è fiorita, se il tenero grappolo è formato, se s'apre la melagrana, e lo interpretano così, che i vigneti sono le sinagoghe e le scuole; la vigna fiorita lo studio della Scrittura, il grappolo lo studio della Mishnàh, il melagrano quello del Talmùd.

[*] Non riesco a ricostruire di quale Eli`èzer si tratti. 

[**] Il trattato Paràh.

[***] Soferìm ("Scribi") è un trattato extracanonico del Talmùd.

Senza dargli la suprema importanza che si suole dai più, un rabbino moderno, il signor Hurwitz, [*] attribuisce l'apostasia di molti Giudei alla trascuranza di questi libri sacri. Per lui le finzioni della Cabala non solamente sono un tesoro di poesia, ma ben anco di morale allegorica. Considerando il Talmùd solo dall'aspetto letterario, desidereremmo si facesse una scelta delle leggende contenute in questo repertorio della scienza rabbinica. Alcuni critici pedanti bestemmiarono il Talmùd per queste leggende appunto, che a sentirli, danno all'opera tutta un carattere di frivolezza, ma essi dimenticarono l'origine orientale di questo voluminoso commentario della Bibbia, ed essere sempre stato proprio dei popoli orientali il mescolare il racconto alle materie più gravi.

[*] Essendovi generazioni di studiosi di nome Hurwitz (per es. Phineas che morì nel 1805 e Hirsch che morì nel 1817), è difficile capire a chi precisamente alluda qui il Cantù.

La Mishnàh vien dagl' Israeliti chiamata Toràh shebbe`al pèh [TWRH ShB`L PH], legge a bocca, legge orale, a distinzione della Bibbia che chiamano Toràh shebbikhthav [TWRH ShBKTB], legge scritta; essendo di fede agli Ebrei che Dio diede a Mosè le anzidette due leggi, vietando di scriver la orale, che racchiudeva l'interpretazione e le applicazioni della scritta. Dopo che la orale, per le ragioni surriferite, venne fissata in carta, non distrusse la Bibbia, anzi a quella si appoggia perpetuamente; ma poiché il volger del tempo e il variare degli uomini può avervi recato dubbiezze, essa tende a chiarirla, appoggiandosi su cinque cardini, 1° spiegazioni tradizionali, di cui già qualche cenno è nella Bibbia, o che basta un tenue ragionamento a far trovare senza dubbiezza; 2° lo jus dettato da Mosè e sul quale non occorre ragionamento; 3° lo jus che si deduce dalla legge scritta, per via di raziocini non somministrati dalla tradizione; sicché poteva nascer disparere fra i dottori intorno all'interpretazione dei testi, onde rendeasi necessario raccogliere le diverse opinioni, e dedurne la più probabile, sgombrandola dai sofismi dei meschini scolari d'insigni maestri; 4° succedono i decreti dati dai profeti e dai sommi de' secoli per siepe della legge (chiamano siepe della legge ciò che in essa non è di stretta necessità, ma che fu emanato da insigni personaggi per riparare al decadimento della fede e al rilassamento della morale insinuatisi nella credenza israelitica); il 5° finalmente sono le comuni convenzioni umane, dirette a sublimare lo spirito, frenar le passioni, dirigerle a scopo elevato.

Su questi cardini s'eresse dunque la Mishnàh, divisa in sei parti principali, ossiano sèder [*] cioè ordini. [**]

[*] SDR, al plurale sedarìm [SDRYM].

[*] S'è qui mantenuta, all'interno dei sedarìm, la sequenza dei libri come riportata dal Cantù. Del resto di tale sequenza ho trovato qua e là diverse varianti.

   

I Sèder, Zera`ìm [ZR`YM], semenze.

   

I. Berakhòth [BRKWT]benedizioni: contiene le benedizioni da rendere a Dio pei frutti della terra, gli alimenti, l'acqua, il vino ed ogni disgrazia. evitata, e regole per le preci giornaliere.

II. Pe'àh [P'H] cantone: dell'obbligo di lasciar nel campo un canto non mietuto, acciocché i poverelli possano spigolarvi il necessario.

III. Demày [DM'Y] dubbi: sulle decime da dare al Signore, e sulle cose non decimabili, o che è dubbio se decimabili o no.

IV. Kil'àyim [KL'YM] eterogenei: particolarità delle sementi che non poteansi mescere le une colle altre, e dei panni tessuti di lino e lana.

V. Shevi`ìth [ShBY`YT] settima: doveri dell'anno sabbatico, nel quale non poteasi seminare.

VI. Terumòth [TRWMWT] oblazioni: offerte al sacerdote, riti ecc.

VII. Ma`aseròth [M`SinRWT] decime, che si davano ai leviti.

VIII. Ma`asér shenì [M`SinR ShNY] seconda decima che davasi ai sacerdoti, e consumavasi solo in Gerusalemme.

IX. Challàh [ChLH] pasta: un po' di pasta che le donne erano obbligate offrire al sacrificatore, quasi porzione d'ogni pane.

X. `Orlàh [`RLH] prepuzio. Gli alberi essendo profani, nei tre primi anni di vegetazione n'era proibita la frutta; legge opportuna a renderli rigogliosi.

XI. Bikkurìm [BKWRYM] primizie, che doveano esser portate al tempio e offerte a Dio, per consacrare tutto il ricolto.

 

II Sèder, Mo`éd [MW`D], solennità.

 

I. Shabbàth [ShBT] sabbato: solennità di questo, modo di celebrarla, luminare, combustibili, e quanto può renderla gradita; lavori proibiti, punizioni per chi ne faceva, e sacrifizi per chi ne facesse inavvedutamente.

II. `Eruvìn [`RWBYN] mescolanze. Quanto nel sabbato può mescolarsi per rimedio, diletto o necessità; come cibi e bevande, passeggi permessi o illeciti, proibizione di trentanove mestieri principali e loro derivazioni, obbligo di riposare non il corpo solo ma anche l'animo, cerimonie che devono praticarsi per dichiarare due luoghi un luogo solo, e potervi trasportare alcun che senza violare il sabbato.

III. Pesachìm [PSChYM] pasqua: riti, preci, sacrifizi, solennità di. tale festa, e rigori per allontanare il fermento.

IV. Sheqalìm [ShQLYM] sicli, che ogni privato dovea annualmente per i sacrifizi quotidiani ed altre spese sacre. Entrante febbraio facevasi la proclamazione di tal pagamento, e dovea esser compito prima che maggio uscisse.

V. Yomà' [YWM'] dì: la festa delle espiazioni, giorno del giudizio, con penitenze, morali meditazioni, e un presentarsi dell'anima avanti a Dio, con auguste cerimonie che il sommo pontefice compiva.

VI. Sukkàh [SWKH] capanna: festa dei Tabernacoli, ove discutesi se possano servire ad uso sacro fissi al suolo, e se formarsi con frondi, e sulle benedizioni, i sacrifizi, le solennità, la presentazione d'ogni maschio al tempio.

VII. Betzàh [BYTzH] ova: degli esseri nati o delle frutta colte in giorno festivo, se sieno permessi agli Israeliti in dette feste, e qual differenza corra tra il sabbato e le altre solennità.

VIII. Rosh ha-shanàh [R'Sh HShNH] capo d'anno civile: pensieri mistici sulla predestinazione per tutto l'anno, sopra un giudizio divino che principia per tutti gli uomini, e sopra il tempo della creazione del mondo; mistici suoni della tromba che volge in fuga lo spirito del male, la cattiva propensione (yétzer ha-ra` [YTzR HR`]). Il capo d'anno sacro era a pasqua.

IX. Ta`anìth [T`NYT] digiuni: quando ed a che fine ordinati; formalità, osservanze, limosine, penitenze, compunzione.

X. Megillàh [MGYLH oppure MGLH] – libro di Ester, che leggono nella festa di Purìm ossia delle sorti. [*]

[*] Questo libro per errore non è citato nella terza edizione del  testo del Cantù, ma lo è nell'ottava (1856). 

XI. Mo`éd qatàn [MW`D QTethN] piccola solennità: giorni di mezza festa, dopo un solennissimo; così dopo il primo giorno pasquale ne succedono sette di minore solennità; e dopo la festa dei Tabernacoli, erano giorni feriati, ma non di tanta santità, e permettevansi alcuni lavori proibiti nelle solennità.

XII Chagigàh [ChGYGH] festa d'ordine del Signore. V'è spiegata la legge che ordina ad Israele di prestare tre volte l'anno omaggio a Dio nel suo tempio di Gerusalemme, cioè a pasqua, a pentecoste, alla festa de' Tabernacoli. Essendone esentati i sordi, i ciechi, gli zoppi, e vari ordini di persone, ne nascevano diversi dubbi di coscienza.

   

III Sèder, Nashìm [NShYM], donne.

   

I. Yevamòth [YBMWT] il levirato: diritto che ha la donna di sposare il cognato dopo che il marito lasciolla vedova senza prole; e formalità da usarsi in questi casi.

II. Kethubbòth [KTBWT] scritte: cioè scritture di matrimonio, dote, doveri dei coniugi.

III. Qiddushìn [QDWShYN] delle fidanzate e degli sposalizi.

IV. Gittìn [GYTethYN] divorzi: modo onde stendere i libelli del divorzio, ed altre formalità necessarie.

V. Nedarìm [NDRYM] voti: quali obbligatori, o no.

VI. Nazìr [NZYR] nazireato [nezirùth – NZYRWT]; doveri del nazireo, cioè diviso dagli uomini e dal vino (nazìr). [*]

[*] Cantù scriveva "nazareato" e "nazareno".

VII. Sotàh [SWTethH] pervertita. È la prova dell'acqua della gelosia, che facevasi sopra l'imputata d'adulterio.

   

IV Sèder, Neziqìn [NZYQYN], danni.

   

I. Bavà' qammà' [BB' QM'] prima porta: danni arrecati da animali o da uomini, giudizi intorno ad essi, compensi ecc.

II. Bavà' metzi`à' [BB' MTzY`'] porta di mezzo: depositi, usure, roba trovata, diritti, doveri, condanne.

III. Bavà' bathrà' [BB' BTR'] ultima porta: contratti di vendite e compre.

IV. Sanhedrìn [SNHDRYN] sinedrio: diritti del gran consiglio, doveri, legislazione, giudizi civili e criminali.

V. Makkòth [MKWT] sferzate: le quaranta flagellazioni che s'infliggono ai non rei di morte; vari delitti cui toccava tal punizione; procedure ecc.

VI. Shevu`òth [ShBW`WT] giuramenti: natura loro; e persone da cui si accettano o no.

VII. `Eduyyòth [`DYWT] testimonianze: come esaminar i testimoni ed accettare le deposizioni.

VIII. Horayòth [HWRYWT] – statuti per  giudici: come dovevano esser osservati, e come punita la loro violazione. [*]

[*] Questo libro per errore non è citato nella terza edizione del  testo del Cantù, ma lo è nell'ottava (1856). 

IX. `Avodàh zaràh [`BWDH ZRH] servizio strano, cioè idolatria: errori di essa e pericoli, e contegno degl'Israeliti cogl'idolatri.

X. Pirqé avòth [PRQY 'BWT] sentenze dei padri, che conservarono la tradizione orale da Mosè in giù. Trattato ricco di morale.

   

V Sèder, Qodashìm [QWDShYM], santità.

   

I. Zevachìm [ZBChYM] sacrifizi: tempo, luogo, persone per offrirli.

II. Menachòth [MNChWT] presenti: cioè oblazioni pei sacrifizi, come l'olio, l'olibano, il fior di farina. [*]

[*] Questo libro viene per errore duplicato nell'ottava edizione, indicandolo anche al  quarto posto. Viene così spiegato: «oblazioni vespertine di farina e pane con olio ed incenso, o senza»

III. Chullìn [ChWLYN] profani: riti per decollare gli animali uccisi per uso domestico; animali puri e impuri; liturgia per osservare i polmoni dei quadrupedi, le infratture ne' bipedi e ne' quadrupedi ecc.

IV. Bekhoròth [BKWRWT] primogeniti: fra gli animali consacrati a Dio, quali dovessero esser riscattati; e riscatto dei primogeniti degli uomini.

V. `Arakhìn [`RKYN] stime per gli oggetti dati in voto o consacrati a Dio.

VI. Temuràh [TMWRH] cambio o sostituzione di sacrifizi, quando a una vittima se ne surroga un'altra.

VII. Kerithòth [KRYTWT] distruzione dell'anima: trentasei peccati che la cagionano; casi di coscienza.

VIII. Me`ilàh [M`YLH] errori e peccati commessi nel sacrificare.

IX. Tamìd [TMYD] sacrifizio perpetuo: due agnelli che scannavansi, uno ogni mattino, l'altro ogni sera.

X. Qinnìm [QNYM] [nidi:] riti pei sacrifizi delle puerpere e loro purificazione.

XI. Middòth [MDWT] dimensioni del tempio, scompartimenti ed architetture. Tutto ciò è determinato a norma dell'immobilità orientale, per usare le dimensioni stesse nel fabbricarne un altro. Probabilmente il secondo tempio era uguale al primo, tranne le fortezze.

   

VI Sèder, Tehoròth [TethHWRWT], purificazioni.

   

I. Kelìm [KLYM] vasi puri ed impuri; lavacri, abiti coi loro diversi tessuti, modo di purificarli se contaminati. [*]

[*] Questo libro e il seguente sono  citati erroneamente  nella terza edizione del  testo del Cantù, ma esattamente nell'ottava. 

II. Miqwa'òth [MQW'WT] fosse o ricettacoli d'acque, in cui uomini e donne si tuffavano per mondarsi.

II. Niddàh [NDH] i catameni: come se ne purificassero le donne.

IV. Yadàyim [YDYM] le mani e loro purificazioni.

V. Ohalòth ['HLWT] tende; loro impurità e purificazioni.

VI. Nega`ìm [NG`YM] piaghe pure ed impure, visite del sacerdote, purificazioni e sagrifizi per esse.

VII. Paràh [PRH] giovenca rossa, col cui cenere purificavasi chi avesse tocco un cadavere.

VIII. Tehoròth [TethHWRWT] purificazioni, per astergere altre impurità contratte.

IX. Makshirìn [MKShYRYN] che rendono permesso: cioè casi di coscienza per la purificazione.

X. Zavìm [ZBYM] coloro che soffrono di polluzioni involontarie e gonorrea; e purificazione prescritta.

XI. Tevùl Yom [TethBWL YWM] lavato nel giorno: riti di chi per impurità si fosse lavato nel giorno stesso; obblighi suoi.

XII. `Uqtzìn [`WQTzYN] frutta mangiate dai bachi, che col contatto possono rendere impure le  altre.

I sessantatré trattati dei sei ordini suddividonsi in cinquecento ventiquattro capitoli. [*]

[*]  Il Cantù scriveva "sessantadue capitoli" (essendo confusi in uno per errore i trattati primo e secondo del VI sèder) nella terza edizione e "sessantaquattro" (essendo duplicato il trattato Menachòth del V sèder) nell'ottava. In realtà sono sessantatré trattati, e 524 capitoli se si conta anche il sesto capitolo dei Pirqé Avòth, che è un'aggiunta posteriore (cfr. Abraham Cohen, Il Talmud, trad. it. di Alfredo Toaff, Laterza, Bari, 1935, p.13).

   

Come la Mishnàh è il testo della legge orale, così la Gemarà' ne è il commento colla logica, e le varie opinioni pro e contro, le scuole diverse, le prove, i testi che le appoggiano. Per ben intenderla però vuolsi saper a fondo l'ebraico ed esser versato negli studi filologici, attesa la mistura di dialetti che vi si trova. Paolo Fagio [*] nella Epistola nuncupatoria ad tractatum Sapientum patrum dice: «Quum vero in omnibus linguis iucundae admodum et gratae sunt sapientum breves Sententiae, in lingua Hebraea, eae, meo iudicio, omnium gratissimae esse debent, eo quod quae ex hac lingua proveniunt, singularem quandam sanctitatem spirare videntur: quod nimirum ab eo proficiscitur, quod in ea primum omnium divina oracula, caelestisque illa sapientia hominibus commendata fuit. Unde et Hebraeorum sapientum Sententiae, a prophanis in hoc differunt, quod non tantum, quae ad politicam, sed et theologicam vitam spectant, pulchre docent» [**]

[*] Paulus Fagius (1504-1549), cristiano protestante, grande erudito di cose ebraiche, operò attivamente nella pubblicazione di parecchie opere ebraiche, alcune delle quali con traduzione e commenti latini. Dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/) se ne possono scaricare la traduzione dei Pirqé avòth (Sententiae vere elegantes, piae, mireque: cum ad linguam discendam, tum animum pietate excolendum utiles, veterum sapientum Hebraeorum, 1541) ed il Thargum hoc est paraphrasis Onkeli chaldaica in Sacra Biblia (1546) nonché l'opera da lui curata Opusculum recens hebraicum a doctissimo hebraeo Eliia Levita... elaboratum... in quo 712. vocum, quae sunt partim hebraicae, chaldaicae, arabicae, graecae & latinae, quaeque in dictionariis non facile inveniuntur, & a rabbinis tamen hebraeorum, in scriptis suis passim usurpantur / origo, etymon & verus usus docte ostenditur & explicatur per Paulum Fagium.

[**] «Benché invero in qualunque lingua risultino assai piacevoli e gradite le concise sentenze dei saggi, quelle in lingua ebraica, a mio giudizio, devono riuscire le più gradite di tutte, perché quelle che da tale lingua provengono, sembrano spirare una certa singolare santità: il che naturalmente deriva dal fatto che in essa, fra tutte, in primo luogo furono dati i divini oracoli e quella celeste sapienza agli uomini. Per questo anche le sentenze dei saggi ebrei differiscono dalle profane in questo, che egregiamente insegnano non soltanto le cose concernenti la [vita] politica, bensì anche la vita teologica». Si tratta dell'epistola introduttiva alla sua traduzione dei Pirqé avòth, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française, come indicato nella nota precedente.

Mutati da questa lingua scapitano non poco, pure addurremo alcune sentenze tolte dalla nona suddivisione del quarto ordine della Mishnàh: Pirqé avòth, «massime dei padri».  [*] 

[*] Questo paragrafo e tutte le successive citazioni compaiono solo nei documenti Sulla Religione. 

[1, 2] Simone il giusto [*] diceva, per tre cose esistere il mondo; lo studio della divina legge, l'osservanza e la carità.

[*] Sommo sacerdote, visse tra il 300 e il 270 av. C.

[1, 3] Antigono [*] suo allievo diceva: Non siate verso Dio come famigli che servono il padrone per amore della ricompensa, ma come chi non si proponga tal fine: e il timore del cielo sia su voi.

[*] Antigono di Sokho, III secolo av. C.

[1, 6] Giosuè figlio di Perachyàh (*) diceva: Fatti un precettore, acquista un amico, giudica bene d'ogni uomo.

(*) È creduto maestro di Gesù Cristo. [Visse tuttavia nel II secolo av. C.].

[1, 4] Yosé figlio di Yo`èzer: [*] Fa' di tua casa un'accademia pei savi; t'impolvera della polve dei loro piedi; bevi con avidità le loro parole.

[*] Presidente del sinedrio, fu contemporaneo dei Maccabei (II secolo av. C.).

[1, 5] Yosé figlio di Yochanàn: [*] La tua casa sia aperta con liberalità, sieno tuoi famigliari i poveri, e non cinguettare con donne.

[*] Vicepresidente del sinedrio, fu contemporaneo dei Maccabei (II secolo av. C.).

[1, 10] Shema`yàh: [*] Ama l'arte, odia la grandezza, non farti conoscere ai potenti.

[*] Visse nella seconda metà del I secolo av. C.

[1, 13] Hillél: [*] Chi va in traccia di nuova fama perde la prima; chi non aggiunge studio, dimentica; chi non ha appreso è degno di morte; chi si serve della divina legge come d'un'arma, muore.

[*] Nacque a Babilonia verso il 70 av. C.

(Hillél faceva da spaccalegna, guadagnando una moneta al dì, che spendeva metà pel povero sostentamento suo e della famiglia, metà per lo studio. Un giorno, sprovvisto di mezzi, s'assise sul soffitto dell'accademia per ascoltare le spiegazioni; e vi gelò sotto la neve caduta. Quivi trovato, divenne famosissimo maestro, come altrove narrammo). [*]

[*] Non ho trovato dove altro il Cantù ne parli. La storia è raccontata in Yomà' 35 b, e se ne trova la traduzione italiana in Cohen, Il Talmud, cit., pp. 174-175, oppure quella inglese (di Rodkinson) all'indirizzo http://www.sacred-texts.com/jud/t03/yom08.htm.

[1, 13] Egli stesso diceva: Se non son io per me, chi per me sarà? Quando ci sono, che cosa sono? Se non adesso, quando sarò?

[1, 16] Simone: [*] Fui allevato fra' savi, non trovai cosa migliore del tacere, non il dire ma lo studiare costituisce l'uomo. Chi molto parla spesso pecca.

[*] Questi fu il figlio di Rabbàn Gamli'él, e visse nel I secolo d. C. 

[1, 17] Tre sono le basi del mondo: giustizia, verità, pace.

[2, 3] Rabbàn Gamli'él: [*] Siate prudenti coi potenti, che accarezzano l'uomo soltanto allora che ne hanno bisogno, e l'abbandonano qualora egli abbia bisogno dì essi.

[*] Nipote e successore di Hillél, visse nel I secolo d. C. È citato nel Nuovo Testamento (Atti, V, 34-39; XXII, 3).

[2, 4] Diceva pure: Fa' tua volontà quella di Dio, ed egli farà suo il tuo volere. Annulla il tuo pel suo, egli annullerà l'altrui pel tuo. 

[2, 5] Hillél: Non ti separare dal comune degli uomini; non ti fidar di te fino al giorno della morte: non dir cosa che non si debba sapere che si sappia: non dire «quando avrò tempo studierò», giacché forse non l'avrai. [*]

[*] Questo e i seguenti detti di Hillél sono dal Cantù erroneamente attribuiti a Rabbàn Gamli'él, probabilmente per un refuso. 

[2, 6] L'ignorante non teme peccato; il volgare non può essere vero devoto; il pusillanime non può apprendere, né l'iracondo insegnare. Dove non son uomini, procura esserlo tu.

[2, 7] Vedendo un teschio galleggiare sull'acqua, disse: Stai sommerso e sommerso fosti: e i tuoi annegatori saranno annegati. 

[2, 8] Il pingue ha più vermi a roderlo; il ricco più dolori; il poligamo più fattucchierie a temere; chi ha molte schiave ha molta libidine; chi molti schiavi, molti ladronecci; chi molto studio della legge, ha molta vita. Chi è sedentario, maggiore scienza acquista. Chi molto si consiglia avrà molta prudenza. Chi è benefico ha pace. Chi accatta rinomanza, l'accatta per sé; chi accatta divina legge, acquista vita eterna.

[2, 10 e 12] Rabbàn Yochanàn ben Zakkày [*] avea cinque discepoli, cui chiese: Qual calle deve scegliere l'uomo? Il primo rispose: vedere tutti di buon occhio; il secondo un buon compagno; il terzo un buon vicino; il quarto preveder l'avvenire; il quinto un buon cuore: Yochanàn lodò l'ultimo parere, perché comprende ogni cosa.

[*] Discepolo di Hillél, I secolo d. C. «È il celebre tannaita che, durante l'assedio di Gerusalemme (70 dopo C.), si fece trasportare fuori della città assediata, chiuso in un feretro, e a Vespasiano chiese di fondare la scuola di Yavnèh che fu poi focolare importantissimo di studi» (cit. dall'Appendice a Pirqê Abôth, a cura di Yoseph Colombo, Carucci, Assisi/Roma, 1977, p. 81.

   

Affine di commentare la legge scritta, Rabbì Yishma`él [*] offre queste tredici forme: 1° dall'argomento maggiore al minore, e viceversa; 2° da eguali dizioni; 3° da un versetto che ne spiega un altro sull'istessa materia, o da due versetti che drizzansi all'effetto medesimo; 4° dall'universale al particolare; 5° dal particolare all'universale; 6° dall'universale al particolare non si deve giudicare se non conforme al particolare; 7° da una dizione universale che ha bisogno d'un'altra particolare, e da una particolare che abbia d’uopo d'altra universale; 8° qualunque dizione che fosse inchiusa nell'universale, ed esca dall'universale per insegnare nuove distinzioni, non si deve applicare ad essa cosa solamente, ma a tutte quelle che erano incluse nell'universale; 9° qualunque dizione è nell'universale, e n'esce per render ragione d'una cosa del soggetto stesso, questa uscita alleggerisce non aggrava; 10° qualunque dizione fosse nella proposizione universale, e n'esca per rendere ragione d' altra cosa che non è del suo soggetto, tale uscita sua serve per alleggerire ed aggravare; 11° qualunque dizione, che essendo nell'universale, n'esce per giudicare qualche nuovo articolo, non si può richiamare per prova all'universale, finché la scrittura non ve lo riponga a chiare note; 12° una cosa che può apprendersi dal soggetto suo proprio, ed un'altra che si apprende soltanto dal fine; 13° due versi che si contraddicono l'un l'altro, si spiegano col terzo che li concilia fra loro.

[*] Yishma'él ben Elishà`, prima metà del II secolo d. C.

Ogni capo della Mishnàh comincia ordinariamente o col nome del dottore che proferisce quella sentenza, o colla parola targumica tenà', cioè insegnare, sentenziare. La iniziativa del Talmùd proprio suol essere amàr ['MR], dire.

Oltre la Mishnàh e il Talmùd entra nel testo talmudico la Baraythà' [BRYT'], cioè di fuori. Dov'è a sapersi che, quando si componeva il Talmùd, alcuni dottori, e a lor capo il rabbino Isacco, dopo assistito nella generale adunanza alle teologiche questioni, uscivano per discutere di fuori sui punti stessi più distesamente, e quel che risultava dai loro dibattimenti chiamavasi Baraythà'; e comincia per lo più ciascun punto con Baraythà', o sàvar, cioè credere.

Adunque i rabbini che ebbero parte alla composizione del Talmùd sono di quattro classi; tanna'ìm misnici; emora'ìm, dicenti; talmudici o sevora'ìm; credenti o della baraythà'.

Àvvi una setta che nega fede alle tradizioni talmudiche, e vuol far consistere l'ebraismo nella Bibbia liberamente interpretata: chiamansi qara'ìm, letteralisti, mentre gli altri sono rabbanìm, rabbinici.

Ordine esatto e chiaro alla teologia talmudica fu dato da Maimonide, filosofando scientificamente su quella credenza, come sulla cristiana san Tommaso d'Aquino.

Oltre i dogmi e la disciplina, contiene il Talmùd buon numero di questioni di fisica, medicina, storia, astronomia, astrologia giudiziaria, geografia. Alcuno dunque pensò a sceverarlo; e rabbino Alfasi [*] di Fez raccolse tutta la parte rituale dogmatica; e rabbino Chavìv spagnuolo, nello `En-Yisra'él [`YN YSinR'L], («occhio d'Israele»), radunò la filosofica, morale e scientifica. [**]

[*] Isaac Alfasi, talmudista di Fez, morto nel 1103.

[**] Ya`aqòv ben Chavìv (1460-1516), talmudista spagnolo.

   

Poiché altrove noi sponemmo [*] le tradizioni orientali intorno ad Alessandro Magno, riferiamo qui un apologo talmudico a lui relativo, che è di notevole bellezza, e che confermerà quanto dicemmo sopra il merito letterario de' libri ebraici.

[*] I documenti Sulla Filosofia riportano: «Poiché nelle Biografie (N° VIII) noi esporremo», e in effetti vi è nelle Biografie un capitolo su Alessandro e Demostene.

   

Leggenda d'Alessandro il Grande.

   

Seguitando suo cammino per lo mezzo di sterili deserti e d'incolti terreni, Alessandro capitò ad un ruscelletto, le cui acque scorrevano via via tra due fresche rive. La superficie di quello non increspata da soffio alcuno, era l'immagine del contento, e parea dir tacendo: Ecco il soggiorno della pace e del riposo. Ogni cosa era calma, né altro sentivasi che il mormorare dell'acque, che parevano ripeter all'orecchio dello stanco viandante: Accostati a prender la tua porzione dei benefizi della natura, e querelarsi che tale invito fosse indarno. Mille deliziose riflessioni avrebbe questa scena suggerito ad un'anima contemplativa; ma come lusingar poteva quella d'Alessandro, tutto pieno d'ambiziosi disegni di conquiste, i cui orecchi s'erano dimesticati al cozzo dell'armi, al gemito de' moribondi? Alessandro passò innanzi; però sfinito dalla fatica e dalla fame, fu ben tosto obbligato a fermarsi Sedutosi sopra una delle rive del ruscello, prese alcuni sorsi d'acqua che gli parve refrigerante assai, e di squisito sapore. Si fece quindi imbandire dei pesci salati onde si tenea ben provvisto, e li tuffò nell'acqua per temperare l'eccessivo acre del loro sapore; ma qual meraviglia al trovare che spandevano soave fragranza! Certo – diss'egli – questo ruscello, di sì rare virtù fortunato, deve trarre sorgente da qualche ricco e beato paese. Cerchiamolo. Risalendo allo insù dell'acqua, Alessandro giunse alle porte del paradiso: erano chiuse; bussò, e colla solita foga chiese l'entrata. Tu non puoi esser ammesso qui, gridò una voce d'entro, questa è la porta del Signore.

Io sono il signore, il signor della terra, replicò l'impaziente monarca, sono Alessandro il conquistatore: ché indugiate ad aprirmi?

No, gli fu risposto: qui non si conosce altro conquistatore se non chi doma le sue passioni: i giusti soli qui possono entrare.

Alessandro cercò invano sforzar il soggiorno dei beati: né minacce gli valsero né preghiere. Vedendo ogni suo studio indarno, si rivolse al guardiano del paradiso, e gli parlò: Tu sai ch'io sono un gran re, che ebbe omaggio dalle nazioni; se pur non mi vuoi introdurre, dammi almeno cosa alcuna, che mostri all'attonito mondo com'io sono venuto colà, ove nessun mortale prima di me.

Ecco, o insensato, replicò il guardiano del paradiso, ecco cosa, che può sanare i mali dell'anima tua. Un'occhiata a questa può insegnarti più sapienza che tu non abbi fin qui ricevuta dagli antichi tuoi maestri. Ora segui tua strada.

Alessandro prese avidamente quel che gli era dato, e tornò alla sua tenda. Ma qual rimase, allorché, osservando il dono, trovò non esser altro che un pezzo d'un teschio di morto!

Quest'è dunque, esclamò, il bel dono che essi fanno ai re ed agli eroi? quest'è dunque il frutto di tanti lavori, pericoli, sollecitudini?

Furibondo, e deluso in sua speranza, gittò via quel miserabile resto di spoglia mortale.

Gran re, disse un saggio ivi presente, non disprezzare questo donativo: per da poco che sembri agli occhi tuoi, possiede straordinarie qualità, come puoi assicurartene se tu lo libri coll'oro e coll'argento.

Alessandro ordinò di provare: si recò una bilancia; la reliquia fu posta nell'un guscio, l'oro nell'altro, e con gran meraviglia di tutti, l'osso traboccò. S'aggiunse altro metallo e sempre fu più leggero: anzi più oro si metteva nel bacino, più questo ascendeva.

È ben maraviglia, disse Alessandro, che sì piccola porzione di materia la vinca sopra tant'oro. Non v'è dunque alcun contrappeso che valga a rimettere l'equilibrio ?

Sì bene, rispose il savio: basta poca cosa. E prendendo un tantin di terra, ne coperse l'osso, che subito si sollevò nel suo bacino.

Questa è pure straordinaria cosa, sclamò Alessandro, sapresti spiegarmi un tal fenomeno?

Gran re, replicò il sapiente, questo frammento d'osso è quel che rinchiude l'occhio umano, il quale quantunque limitato nel volume, è illimitato ne' desideri: più ha, più vorrebbe: né oro né argento né altra terrena ricchezza il saprebbe soddisfare. Ma quando sceso una volta nella tomba è coperto di terra, ivi è un limite alla sua avida ambizione.

   

Questa citazione parrà preferibile a certi estratti di più seria qualità, e per esempio alle importanti minuzie, le quali hanno fatto dire ad un dotto, che, per essere beccaio secondo il Talmùd, si dovrebbe passare per un esame più complicato di quei che si esigono da uno studente per entrar dottore in teologia. I primi rabbinici dottori sono anch'essi santi dell'Oriente, culla delle favole. Ma àvvene uno, i cui viaggi somigliano piuttosto a quelli di Sindbad marinaio, che non a veruno dei devoti pellegrinaggi della leggenda. Questi è il famoso Rabbàh bar Bar Channàh, che un dì vide un pesce rigettato dal mare sulla riva, coll'urto suo rovesciare sessanta città: sessanta altre si pascolarono colla carne di quello, e ne rimase ancora tanto, da poter altre sessanta città farne la lor provvigione di salume. Nel tornare l'anno appresso, Rabbàh bar Bar Channàh trovò che le sessanta città rovesciate eransi rifabbricate coll'ossame del pesce. Un'altra volta quest'illustre rabbino si fece sbarcare sul dosso d'una bestia marina, che era coperta di zolle e d'una ricca vegetazione. Rabbàh bar Bar Channàh credendosi sopra un'isola, v'attizzò il fuoco, e si pose a cuocervi; dal che risentito il pesce si mosse; e il viaggiatore appena ebbe tempo di camparsi. Vide pure un ranocchio grosso come il villaggio di Akra che contiene sessanta case: un serpente inghiottì quel ranocchio, e poi sopraggiunse un corvo, che ingoiato il serpente, per digerirlo, andò a posarsi sopra un albero, di cui, per disgrazia, il rabbino non ci dà la misura.

Credat judaeus, voi griderete con Orazio. Pure per quanti v'abbia errori e vaneggiamenti nel Talmùd, confessati dai più savi dottori, sarebbe a desiderare per l'interesse della scienza, che un dotto volesse farne l'analisi filosofica, spiegarne lo spirito, dar i motivi degli autori di questa compilazione, sotto quali influenze la fecero, e l'effetto suo  sui costumi e le opinioni del popolo per cui fu scritta.

Ma più che l'esaminare è facile il disprezzare. Or quando mai il disprezzo partorì cosa che buona fosse?

   


QUALCHE RIFERIMENTO INTRODUTTIVO AL TALMUD

La bibliografia è sterminata. Do appena qualche titolo e qualche link di primo riferimento.
Sarò grato a chi mi darà ulteriori utili indicazioni.

   

Mechon Mamre (http://www.mechon-mamre.org/). Sito assai ricco, riporta in originale gran parte delle fonti tradizionali ebraiche, tra cui l'intero Talmùd.

Michael L. Rodkinson, The Babylonian Talmud, dieci volumi, 1903, 1916, 1918, on line all'indirizzo http://www.sacred-texts.com/jud/talmud.htm. Una buona parte del Talmùd in traduzione inglese. Il decimo volume è una rassegna storica.

Come and Hear. An Educational Forum for the Examination of Religious Truth and Religious Tolerance (http://www.come-and-hear.com/). In questo sito vengono riprodotti parzialmente The Babylonian Talmud edited by Rabbi Dr. Isidore Epstein del 1952 e una serie di commentari rabbinici.

Chavruta! (http://www.chavruta.net/). Interessante sito italiano di studi talmudici a cura di Rav Mordechai Goldstein, con molte traduzioni.

Jewish Encyclopedia (http://www.jewishencyclopedia.com/). On line i dodici volumi della Jewish Encyclopedia, pubblicati tra il 1901 e il 1906.

Johann Reuchlin, Principium libri de rudimentis hebraicis, 1506, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

Paulus Fagius, Sententiae vere elegantes, piae, mireque: cum ad linguam discendam, tum animum pietate excolendum utiles, veterum sapientum Hebraeorum, Isnae in Algavia, 1541, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/). Traduzione latina dei Pirqé avòth.

Paulus Fagius, Thargum, hoc est, Paraphrasis Onkeli Chaldaica in Sacra Biblia, Argentorati,1546, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

Johann Buxtorf, Lexicon Chaldaicum, Talmudicum et Rabbinicum, Basilea, 1639, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

Johann Buxtorf, Thesaurus Grammaticus Linguae Sanctae Hebraeae, Basilea, 1651, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

Johann Buxtorf, Synagoga Judaica, de Judaeorum Fide, Ritibus, Ceremoniis, tàm Publicis & Sacris, quàm Privatis, in domestica vivendi ratione, 3a ed., Basilea, 1680, scaricabile dal sito della Bibliothèque Nationale Française (http://gallica.bnf.fr/).

Il Talmud. Scelta di massime, parabole, leggende. Per cura di Mosè Beilinson e Dante Lattes. Paravia, Torino, 1924.

B. Travers Herford, The Pharisees, 1924. Trad. di Dante Lattes e Mosè Beilinson: I Farisei. Laterza, Bari, 1925.

Abraham Cohen, Il Talmud. Traduzione di Alfredo Toaff, Laterza, Bari, 1935. 

Isidore Epstein, Judaism. A Historical Presentation. Penguin Books, Londra, 1959.

Herman Wouk, This is my God, 1959. Trad. it. di Lydia Magliano: Questo è il mio Dio. Rizzoli, Milano, 1962.

Il Trattato delle Benedizioni (Berakhot) dal Talmùd babilonese. A cura di Sofia Cavalletti. UTET, Torino, 1968.

Pirqê Abôth. Traduzione dall'ebraico, introduzione e commento di Yoseph Colombo. Carucci, Assisi-Roma, 1977.

A. C. Avril, P. Leinhardt, La lecture juive de l'Écriture, 1982. Introduzione, traduzione e note a cura di Alberto Mello: La lettura ebraica della Scrittura con antologia di testi rabbinici. Qiqajon, Magnano (VC), 1984, 1989.

Gonzalo Aranda Pérez, Florentino García Martínez, Miguel Pérez Fernández, Literatura judía intertestamentaria, 1996. Ed. it. a cura di Donatella Maggiorotti: Letteratura giudaica intertestamentaria. Paideia, Brescia, 1998.

PRQY 'BWT - SDR NZYQYN - Massime dei Padri. Trad. di Rav Shlomo Bekhor. Mamash Ed. Ebraiche, Milano, 1998.

Commento alla Genesi (Bereshit Rabbâ). Introduzione versione note di Alfredo Ravenna. A cura di Tommaso Federici. UTET, Torino, 1978. Un midràsh.

Mosè Maimonide, La Guida dei Perplessi. A cura di Mauro Zonta. UTET, Torino, 2003. Una delle più note opere filosofiche ebraiche.

Mosè Maimonide, Introduzione al Mishneh Torah, trad. it. di Luciano Tagliacozzo all'indirizzo http://www.e-brei.net/modules.php?name=News&file=print&sid=503.

   

   

 

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