www.superzeko.net  

Sommario del sito

IL TORO BIANCO

Roberto Rossi Testa

  

Gustave Moreau, Esiodo e la Musa

Gustave Moreau, Esiodo e la Musa

Roberto Rossi Testa (*), nato il 17 settembre 1956 a Torino, vi ha vissuto e lavorato finché non si è trasferito a San Raffaele Cimena, dove è morto il 28 gennaio 2016. 
In poesia partecipò all'opera collettiva Pharmakos (Torino 1984) e pubblicò le raccolte Stanze della mia Sposa (Hellas, Firenze, 1988), Poca luce (Nino Aragno Editore, Torino, 2002), da cui è tratta La notte dell'impresa Eunoè. Poesie 1988-1995 (Manni Editori, Lecce, 2005), Sposa del vento. Poesie 1984-2004 (Aragno, Torino, 2007) e Poesie per un no (Aragno, Torino, 2010). Collaborò inoltre a numerose riviste sia italiane che estere, fra cui L'anello che non tiene (cfr.  Pentecoste, poi riedita in Eunoè), Poesia, Schema, Testo a fronte, Yale Italian Poetry (cfr.  Grazie).
In prosa pubblicò il libro di racconti Storie di dèi e di animali (Petrini, Torino, 1995), da cui sono riprodotti sul nostro sito Il toro bianco e Il cigno di Leda.
Collaborò al blog letterario La Poesia e lo Spirito. Una sua silloge intitolata La notte dell'impresa è scaricabile in forma di libro elettronico all'indirizzo http://www.larecherche.it/public/poesia2punto0/La_notte_dell_impresa_di_Roberto_Rossi_Testa.pdf. Sue poesie sono presenti anche all'indirizzo http://www.italian-poetry.org/rossi_testa_roberto.html.

Svolse un'intensa attività editoriale come traduttore e curatore, in primo luogo di testi poetici e di opere riguardanti il mondo arabo-islamico, la critica letteraria e d'arte (da Tagore a Gibrân, da Ortega a Huysmans, da Ibn `Arabî a Blake). Nel 2007 uscì la sua traduzione del Latino mistico di Remy de Gourmont (Aragno, Torino), e nel 2008 uscì quella de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Ibn `Arabî (Urra-Apogeo, Milano, con prefazione di Gianni De Martino), opere per cui profuse grande impegno. 

Su SuperZeko sono presenti sue traduzioni da Percy Bysshe Shelley, Alfred Tennyson, Younis Tawfik, William Blake e Jaufré Rudel, nonché la sua versione  integrale de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî  (cfr. parte I parte IIparte IIIparte IV). 

Poco prima di morire ha pubblicato la sua ultima opera di poesia: Il sole della notte, alla chiara fonte editore, Lugano, gennaio 2016.

 

(*) Per l'anagrafe è Roberto Rossi, ma dal 1989 firmò i suoi lavori con l'aggiunta del cognome materno al fine di evitare confusioni con omonimi.

 

 

L'aveva sicuramente già incontrata, e più volte, come lei stessa gli disse; ma quella fu la prima che il bibliofilo si accorse di lei, né poteva essere altrimenti, poiché, mentre si trovava in una bottega antiquaria dove era entrato per caso e stava ammirando un piccolo flacone di vetro chiaro con un semplice decoro floreale, quasi deciso all'acquisto, lei, che doveva tenerlo sotto sorveglianza ormai da qualche tempo, gli si fece accanto e gli parlò: "Apra gli occhi, signore, e lasci perdere! Ho già avuto modo di notarla in altre occasioni, in cui ha dimostrato di essere in grado di fare da sé, di avere gusti decenti. Ma adesso, mi permetta, lasci perdere, si affidi a me, lasci che sia io a guidarla". 

Sorpreso, il bibliofilo tardò qualche istante a mettere insieme una risposta; ma, più pronto di lui, piombò loro addosso l'antiquario, che si era reso conto che l'importuna gli stava mandando all'aria l'affare; e, ignorando la donna, cominciò a congratularsi con il potenziale acquirente per il suo occhio, per il suo gusto: il pezzo che aveva tra le mani, affermò, era davvero di gran pregio, antico e rarissimo. La donna, però, ben decisa a non abbandonare il suo uomo in balia dell'altro, atteggiò le labbra a un sorriso angelico, che contrastava minacciosamente con la ferma freddezza dello sguardo ed il tono sferzante della voce, e interloquì: "Questo flacone è uno di quelli che vennero usati, qualche anno fa, per un'acqua di Colonia di grande successo; io medesima ne ho consumata molta, da ragazza. Perciò definirlo antico e rarissimo è prima di tutto un'offesa nei miei confronti, e poi, se non fosse uno scherzo, potrebbe anche sembrare un tentativo di truffa". 

L'antiquario impallidì, avvampò, divenne giallo di bile e verde di rabbia: il tutto nello stesso momento. Tentò pure di replicare: ma aprì e richiuse la bocca, ripetutamente e con scatti sordi, senza che ne uscisse suono, tanto la collera, non già la vergogna, gli faceva groppo. Infine, sconfitto, scrollò le spalle e le voltò nell'atto di andarsene, lasciando il bibliofilo al suo destino, non senza avergli lanciato, prima, un'ultima occhiata; occhiata di cui il destinatario non comprese il perché, e che gli parve di commiserazione irridente.

La donna e il bibliofilo rimasero in piedi l'uno davanti all'altro, in silenzio. Poi lei riprese: "Non se la prenda. Queste cose capitano a tutti i principianti. Incominciare sbagliando è preferibile a non incominciare mai". Certamente con queste parole intendeva rinfrancarlo, ma ottenne soltanto di farlo sentire ancora più imbarazzato e goffo. Allora proseguì: "Del resto, come le dicevo prima, lei principiante del tutto non lo è. Mi è capitato di osservarla in una libreria antiquaria e ho apprezzato molto la sua competenza, le sue richieste precise, il suo modo di tenere garbatamente a distanza il venditore quando un pezzo non la convinceva". Al bibliofilo non ci voleva altro. "E lei non ha visto ancora la mia biblioteca!" esclamò a precipizio, alleggerendosi di colpo di ogni tensione accumulata nei minuti precedenti. Poi, subito dopo, impallidì, avvampò, assunse tutti i colori dell'arcobaleno; ma la frase era pur stata pronunciata, e ora non poteva far altro che addolcirla, attutirla, chiosarla: "Io naturalmente non intendevo...". "Naturalmente" fece eco lei, contegnosa ma soprattutto sbalordita che si potesse pensare che lui pensasse che lei pensasse; che insomma entrambi pensassero. Quindi, offertogli il braccio, si fece condurre fuori della bottega e lo seguì senz'altro a casa sua, che si trovava nei pressi; e percorsero il breve tragitto conversando di argomenti vaghi e leggiadri.

Né l'uno né l'altro, come si erano reciprocamente assicurati, pensava, e tuttavia, quando furono nell'abitazione, senza che ci fosse bisogno di pensarci né molto né poco, il fatto accadde. Mentre, apparentemente a caso, ma in realtà guidata da un istinto infallibile, lei apriva, sfogliava e qua e là leggeva volumi dietro volumi, scritti in tutte le lingue di questo e degli altri mondi, sfoggiando sempre una pronuncia e un'espressività perfette, lui, colto da un istinto forse non meno infallibile di quello della donna, prese a baciarle ogni centimetro di pelle raggiungibile senza troppo disturbarla; quantunque fosse così immersa in quelle letture che distogliernela sembrava, ancor più che una profanazione, un'impresa impossibile.

Ma ad un tratto lei alzò deliberatamente lo sguardo e lo posò in quello dell'uomo; e, deposto il libro che stava sfogliando, gli aprì le braccia e gli porse la bocca. In breve, come premesso, il fatto accadde; e non restituì la favella ai muti, né fece deviare di un millimetro la terra dalla sua orbita; eppure fu egualmente gravido di conseguenze. Lo fu almeno per lui, facendogli provare un'estasi mai conosciuta prima. Fino ad un certo punto tentò di rimanere aggrappato a se stesso, al suo passato, al suo nome; poi smise di ripetersi chi era, dove si trovava, e si arrese alla corrente che lo strappava alla sponda, ed entrò nel suo flusso. 

Quando le onde si acquietarono, e lo risospinsero gentilmente verso riva, seguendo lo sguardo della donna fisso oltre le sue spalle la scorse in assorta contemplazione della copertina di un vecchio libro, le favole di Perrault illustrate da Gustavo Doré. Lei si avvide di essere stata spiata e disse, pacata e imperiosa al tempo stesso: "Prendi e leggi". "Ma io parlo malissimo il francese!" obiettò lui. "Io però lo comprendo benissimo - ribatté lei con un breve riso - perciò prendi e leggi." Il bibliofilo obbedì, e scorrendo l'indice del libro chiese: "Quale favola vuoi che legga?". "La prima, no? - gli rispose - Bisogna sempre incominciare dal principio. Le altre le leggerai poi, ad una ad una, volta per volta." E così il bibliofilo lesse, meglio che poteva, cercando di donare in spirito alla propria lettura ciò che non poteva darle in precisione e scioltezza, la leggenda della Bella Addormentata: la storia di un incendio trattenuto, di una sognante latenza protratta ben oltre la durata della fanciullezza, addirittura oltre il normale corso di una vita.

Grande fu la sua sorpresa, e ancora maggiore la tenerezza che sentì, quando, volgendosi verso di lei nelle pause ad effetto che inseriva nella lettura, la vide trasfigurata dall'ascolto: raggomitolata sotto le coperte non lasciava sporgere che la parte superiore del viso, alla quale teneva stretto un pugno; ma gli occhi e quel pugno da soli bastavano, dicevano tutto: seguendo nell'emozione ogni dettaglio, aderendo ad ogni variazione del racconto. Quella creatura, che l'uomo conosceva soltanto da poche ore, durante le quali gli si era appalesata così consapevole e adulta, nondimeno si mostrava capace di stupore e di incanto, non sdegnosa, bensì impaziente di imbarcarsi sulla nave della parola: di prendere il vento sul mare di un'infanzia riattinta, là dove i nodi recisi nuovamente si stringono, là dove la paura e il dolore si sciolgono in un pianto dirotto per ritornare in riso e in letizia.

A mano a mano che l'uomo procedeva nella lettura, non riusciva a non guardarla sempre più di frequente, e leggeva a fatica, a gola serrata: perché sul volto di lei, trascolorante e cangiante, si stava svolgendo tutta la loro infanzia, con le sue umiliazioni e le sue solitudini; e da quella messa in scena, da quella ricapitolazione traeva il riscatto, a beneficio di entrambi.

Quando infine il racconto terminò la donna gli disse soltanto: "Grazie", ma con una strana voce infantile: cantilenante, lontana. Poi chiuse gli occhi, si rannicchiò ancor più di prima e in pochi istanti quietamente si addormentò di un sonno che fu subito profondo: lo rivelavano il respiro sottile e regolare, intercalato da lunghi sospiri, e le tracce dei sogni che le passavano in volto. L'uomo si alzò, guardò fuori dalla finestra i passanti frettolosi, i primi lampioni accesi di un tardo pomeriggio del tardo autunno. Quindi si stese di nuovo accanto a lei; e non dormì però sognò anche lui (se pure era un sogno), un sogno brevissimo e intenso.

Vedeva solamente cielo, ma tanto luminoso da sembrare velato da una nebbia grigia; e dalla distanza, come al rallentatore, in un rombo soffocato, avanzava diritta verso di lui una sorta di macchina volante, di gigantesco insetto; e a mano a mano che si avvicinava e poté distinguere meglio vide che si trattava di un toro bianco con due stelle d'oro sulla fronte e sul petto; e che si sosteneva per aria remando con due lunghissime ali che arrivavano quasi agli opposti confini del cielo, fatte, all'apparenza, di travature di corno su cui fossero stese delle membrane iridescenti e traslucide. 

Più il toro bianco si avvicinava all'uomo, più le sue due stelle d'oro emettevano luce, un fascio di luce sempre più forte e pulsante, che si concentrava e lo colpiva alla gola, penetrando e scavando. 

Poi il toro prese terra. Le ali, diventate inutili, caddero al suolo con un sussurro di foglie secche, con un tonfo di pomi maturi. La prospettiva cambiò: adesso la scena, a perdita d'occhio, era un prato di smalto, e a qualche tratto dal toro c'era un gruppo di giovani. Il toro scrutava all'intorno, forse cercando qualcosa o qualcuno; e non appena scorse le giovani si diresse verso di loro con un trotto che subito divenne galoppo. Le giovani come se ne accorsero fra alte grida si diedero alla fuga sbandandosi; ma il toro ne voleva una, quella soltanto, e quella inseguì senza distrarsi, senza farsi confondere. 

Nel momento preciso in cui la raggiunse l'uomo si destò. La donna al suo fianco dormiva ancora un sonno di bambina. Subito l'uomo si toccò la gola, dove avvertiva una sensazione strana; e seguendo l'impulso di dire qualche parola, di cantare piano qualche nota, ebbe la sorpresa e la gioia di sentire una voce del tutto nuova, ferma e pulita, con un timbro pieno e caldo quale non aveva mai avuto prima. 

E comprese che quella donna era la prediletta di un dio, il quale gliel'aveva mandata, ed era poi entrato in lui, per possederla; in lui, che a sua volta era stato posseduto da entrambi; da entrambi ricevendo, di entrambi ritenendo qualcosa; senza potere, né l'avrebbe voluto, ritornare mai più quello di un tempo.

E comprese altresì, ma non era che un diverso modo di esprimere la stessa realtà, di non essere altro che il frutto del loro reciproco possesso; il frutto delle nozze di un dio con la figlia di un uomo.

  

 [da Storie di dèi e di animali, Petrini, Torino 1995]

   

   

 

Se vuoi invia un commento, specificando da che pagina scrivi:

scrivi@superzeko.net

Sommario